Tutti i fallimenti della Trenta: così ha messo a rischio la Difesa

Il ministro ha usato i militari per combattere la sua battaglia sui migranti e contro Salvini: ma l'Italia ora rischia grosso

Tutti i fallimenti della Trenta: così ha messo a rischio la Difesa

Mai come in queste ultime settimane il ministero della Difesa è stato al centro di uno dei più importanti scontri politici in seno a un governo. Da una parte Matteo Salvini, leader della Lega e ministro dell'Interno, che ha da subito individuato nel dicastero delle forze armate uno dei pilastri su cui costruire la sua strategia politica (in particolare sul tema migranti). Dall'altra parte il ministro, Elisabetta Trenta, che in questi 14 mesi di governo gialloverde - e in particolare negli ultimi - ha spesso suonato la carica trasformandosi nell'anti-Salvini. In colei che, da titolare della Difesa, avrebbe potuto frenare le velleità del capo del Viminale. Partendo proprio dal contrasto all'immigrazione clandestina e imponendo un'altra visione della gestione dei flussi che aveva nella rotta del Mediterraneo centrale un vero e proprio campo di battaglia tra Movimento 5 Stelle e Lega.

Ma limitarsi all'immigrazione sarebbe un grave errore per comprendere gli errori compiuti in questi mesi dal ministro Trenta. Ed anzi, forse è proprio questo collegamento tra Difesa e flussi migratori che può essere preso come punto di partenza per comprendere dove ha il ministro ha fallito: ovvero cercare a qualsiasi costo di dare delle Forze armate non un'immagine di strumento dello Stato per difendere gli interessi nazionali dentro e fuori i nostri confini, ma come una sorta di protezione civile più o meno armata votata a fare altro rispetto a quanto la stessa Costituzione richiede.

No, non è retorica: è una vera e propria linea strategica. Il ministro Trenta, al pari del suo predecessore Roberta Pinotti, ha ben chiaro il concetto di "dual use", che da qualche tempo viene agitato nei settori della Difesa come se fosse una sorta di bandiera del politicamente corretto. Un duplice uso delle Forze armate che però nel tempo, almeno nell'immagine che voleva dare la Trenta, sembrava dovesse essere rovesciato. Più protezione civile, meno forze di mare, aria e terra, la Difesa ha avviato quel processo di svilimento che l'ha portata ad avere quale ruolo primario quello di diventare non solo strumento di propaganda politica, ma anche quello di svolgere compiti del tutto diversi dai reali obiettivi. Un "tradimento" degli scopi delle Forze armate che però racchiude il vero grande problema di questo mandato: l'aver piegato esercito, marina e aeronautica al politicamente corretto evitando però di parlare degli scopi reali dei nostri uomini in armi.

Mentre il ministro si è dedicato al tema dell'inclusione come bandiera del 2 giugno, alla politica migratoria, alle battaglie sui sindacati militari fino all'epico scontro con il Viminale, c'è dall'altro lato una Difesa che deve rispondere in maniera netta ai tanti punti interrogativi del nostro secolo. Che non sono banali e che di certo non riceveranno risposte con arcobaleni e post sui social network. C'è da capire cosa l'Italia farà dagli F-35. Un contratto che i Cinque Stelle sembra non vogliano rispettare, ma che di fatto sta incrinando i rapporti tra il nostro Paese e gli Stati Uniti e che rischia di vederci esclusi da importanti operazioni in ambito Nato. C'è un problema di missioni all'estero: cosa farne? Dalla Difesa tutto tace. Eppure dagli Stati Uniti hanno già reso palese il fatto di volere l'Italia in Siria, così come hanno chiesto un aumento delle spese militari in ambito Nato. I nostri militari sono a Misurata, in Libia, mentre le bombe cadono vicino all'ospedale da campo in cui operano. Ma la Trenta è apparsa sempre più impegnata a osservare quanto accadeva a al largo di Lampedusa, ma non sembra esserci stato lo stesso impegno mediatico nei confronti dei nostri uomini impegnati nei più remoti angoli del mondo a tutelare gli interessi nazionali. Ci sono diverse crisi in atto: dalla Libia al Medio Oriente, ma il ministro tace mentre parla di migranti e di Salvini. E ci sono tutta una serie di questioni aperte sui finanziamenti alla nostra difesa di cui al governo sembra che nessuno (in sede pentastellata) voglia realmente parlare. Ci sono i contratti, i fondi da destinare ai sistemi missilistici, dossier anche bollenti che riguardano l'intelligence così come la nostra partecipazione ad altrio programmi europei e atlantici.

Ma i Cinque Stelle hanno sempre pensato ad altro. A una Difesa politicamente corretta e del politicamente corretto.

Una concezione figlia di quel pacifismo che ha da sempre contraddistinto di 5 Stelle e che si è manifestato in tutta la sua assurdità con le parole del premier Giuseppe Conte, che il 17 maggio, spiegava a tutti di aver rinunciato all'acquisto di cinque nuovi fucili per finanziare una borsa di studio di "Leader for Peace". Un gesto pericoloso non tanto nel concreto, quanto nell'idea: perché quel facile non rappresenta un'arma in mano a un criminale, ma uno strumento che serve ai nostri soldati per tutelare la nostra comunità.

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