Tutti i perché del "no" alla legge Zan contro l'omofobia

Il vicepresidente del Livatino Alfredo Mantovano espone tutte le problematicità che deriverebbero dall'approvazione del ddl Zan

Tutti i perché del "no" alla legge Zan contro l'omofobia

Si è riacceso il dibattito attorno al ddl Zan, la cosiddetta legge contro l'omotransfobia. Nel corso di queste ore, numerose personalità dello spettacolo hanno preso posizione in merito. Il tutto avviene in un contesto pandemico che - dicono alcuni contrari all'iniziativa delle forze progressiste - necessiterebbe di accenti su priorità del tutto differenti. Ma tant'è che la politica è impegnata adesso anche a dibattere di un provvedimento che sta proseguendo il suo iter. Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, si è da tempo distinto per le sue posizioni critiche in relazione ad una legge che, nel caso venisse approvata, concluderebbe, a detta dell'ex sottosegretario al Ministero dell'Interno, un percorso intrapreso lungo un "pendio scivoloso". Quello che rischierebbe di minare alcune fondamenta della bioetica secondo i dettami occidentali e non solo.

Dottor Mantovano, a che punto siamo sul ddl Zan?

La proposta di legge è stata approvata alla Camera, dopo aver sintetizzato più proposte avanzate in quella sede da deputati di varie forza politiche, e adesso è incardinata al Senato, in Commissione Giustizia.

Quali sono le vostre ragioni di contrarietà?

Le abbiamo riassunte nel volume edito da Cantagalli "Legge omofobia. Perché non va", commentando ogni singolo articolo del testo, dalle disposizioni penali, che estendono la legge Mancino anche alle discriminazioni, o all’incitamento alla discriminazione, fondati su ragioni di genere, di orientamento sessuale e di identità di genere, alla norma che istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia, con interventi nelle scuole: strumento quest’ultimo per saltare il consenso dei genitori alla propaganda gender fin dalle classi della scuola primaria.

Crede che la legge Zan possa essere solo il principio (o la continuazione) di un viaggio lungo un "pendio scivoloso"?

È la conclusione di un percorso di già compiuto scivolamento. Dapprima si sono introdotte leggi, per tutte la cosiddetta Cirinnà, che hanno riconosciuto alle unioni fra persone dello stesso sesso facoltà e diritti nella sostanza pari a quelli derivanti dal matrimonio, e si è aperto all’adozione delle coppie same sex, da ultimo consacrata dalla decisione delle Sezioni Unite della Cassazione del 31 marzo. Chi, senza offendere nessuno, osi sollevare dubbi su singoli aspetti di questa deriva, o sull’insieme di essi, con la legge Zan rischia sanzioni pesanti, o per lo meno l’avvio di un procedimento penale, durante il quale - grazie ai margini di pena previsti - potrà essere sottoposto a intercettazioni, o addirittura a misure cautelari personali. È la chiusura di un cerchio: ti smonto l’istituto familiare, e se obietti ti mando sotto processo.

L'omofobia è già sancita dalle nostre fonti giuridiche? Le persone discriminate sono già tutelate?

Come la cronaca puntualmente informa, ogni qual volta vi sia una offesa a una persona perché omosessuale, con le norme attualmente in vigore la reazione è immediata, giungendo da subito ad applicare al presunto responsabile la custodia cautelare, in presenza dei presupposti di fatto. Il quadro normativo è completo non solo quanto alla previsione della punizione da percosse, lesioni, violenze ecc., ma anche quanto a circostanze aggravanti che, pur di carattere generale, sono applicabili in simili casi, da quella dei motivi abietti e futili alla cosiddetta minorata difesa.

Perché ritenete che la Zan sarebbe un attacco alla libertà d’opinione?

Perché il reato è costruito sulla individuazione più che di una condotta lesiva, del motivo discriminatorio, e quest’ultimo fa riferimento a categorie - identità di genere e orientamento sessuale - che sono controverse anche all’interno del mondo lgbt+. L’assoluta mancanza di chiarezza e la genericità definitoria avranno come esito che ciascun magistrato darà la sua personale estensione a quelle categorie, con applicazioni disomogenee e arbitrarie.

Ci fa qualche esempio concreto di cosa potrebbe accadere in seguito alla approvazione?

Gli esempi li fanno i promotori del testo. L’on. Scalfarotto ipotizza che una madre che in una conversazione priva di minacce o di offese illustri alla figlia perché dissente dall’unione same sex che la figlia desideri intraprendere rischia di ritrovarsi in Tribunale: poi magari verrà assolta, ma intanto è sufficiente un sereno ragionamento per subire il trauma del passaggio dal salotto di casa a un’aula di giustizia. L’on Zan alla domanda di un giornalista che gli chiede "si ha comunque il diritto di ritenere che un uomo che si dichiari donna non sia donna (...), con una simile legge, dirlo in tv sarebbe considerato istigazione all’odio"? risponde che "no, ma resta un atteggiamento di non rispetto". Ma poi aggiunge che ”lo decide un giudice”: confermando che porta dritto al processo la semplice perplessità che taluno manifesti sul fatto che autodichiarare il cambio del proprio sesso sia sufficiente per farlo ritenere mutato.

L’eventuale condanna sarà demandata alla discrezionalità del giudicante, ma intanto vi è la certezza della chiamata in giudizio, con gli annessi e connessi delle spese materiali, delle ansie, e di avere a carico chissà per quanti anni una pendenza giudiziaria, con gli effetti preclusivi che questo implica.

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