Ubs-Credit Suisse: non è una fusione ma un salvataggio con soldi pubblici. E la Borsa apprezza

Ci vorrà ancora del tempo prima di capire se il salvataggio di Credit Suisse sia stata solo una mossa disperata che, prima o poi, presenterà il conto a tutti

Ubs-Credit Suisse: non è una fusione ma un salvataggio con soldi pubblici. E la Borsa apprezza

Ci vorrà ancora del tempo prima di capire se il salvataggio di Credit Suisse sia stata solo una mossa disperata che, prima o poi, presenterà il conto a tutti. La reazione di ieri delle Borse non fa testo: seduta nervosa, partita malissimo con gli indici collassati di un paio di punti percentuali prima del recupero finale (+1,6% Milano, +1% lo Stoxx600) favorito dalle parole rassicuranti arrivate dai governi, dalla Bce e dalle autorità di regolamentazione. E, soprattutto, dall'abbondante liquidità fornita al sistema finanziario mondiale dalle principali banche centrali. Come da copione, le quotazioni dei titoli del Credit (-55%, a 0,82 franchi svizzeri) si sono allineate al prezzo strappato da Ubs (+1,26%, dopo un -12%) per mettere le mani sui rivali zurighesi di sempre per una cifra complessiva pari a tre miliardi di dollari.

Poiché il diavolo si nasconde sempre nei dettagli, l'operazione presenta fin d'ora delle criticità che ne denunciano la fretta con cui il governo di Berna e la Banca nazionale svizzera hanno voluto mandarla in porto. A cominciare dai tappeti rossi stesi attorno a Ubs, il cui forte potere negoziale ha consentito di svendere per pochi spiccioli una banca con un patrimonio netto di 54 miliardi di dollari e con una sede centrale, all'8 di Paradeplatz, che vale probabilmente più della cifra complessiva del deal. Per non parlare della concessione di una linea di liquidità fino a 100 miliardi più altri 9 di garanzia sulle potenziali perdite di CS ottenute dall'ad di Ubs, Ralph Hamers.

Un accordo super-blindato su un solo versante e su cui né i soci del Credit, né quelli dell'acquirente hanno potuto mettere bocca dopo che sono state modificate ad hoc le norme che concedevano sei settimane di tempo agli azionisti per pronunciarsi su una fusione. Atto poco democratico che avrà un inevitabile strascico nelle aule dei tribunali, visto che la Fondazione Ethos, in rappresentanza dei fondi pensione svizzeri, ha già minacciato azioni legali.

Ma l'aspetto più controverso riguarda la decisione di ghigliottinare il valore di 16 miliardi di franchi (17,2 miliardi di dollari) delle cosiddette obbligazioni AT1 del Credit, la più grande perdita mai registrata in un mercato da 275 miliardi in Europa, creato dopo la crisi finanziaria per garantire che delle perdite si facessero carico soprattutto gli investitori e non i contribuenti. È vero: si tratta di strumenti rischiosi, e quindi ad alto rendimento, dal momento che in caso di fallimento l'azzeramento del loro valore è garantito. CS non è però fallita. Il problema, sollevato da molti analisti, è questo: con l'idea di rafforzare il capitale della banca, chi ha congegnato il salvataggio ha invertito la piramide in base alla quale i primi a pagare devono essere gli azionisti e solo in seconda battuta i bondholder. Nella sostanza, si è voluto replicare quanto fatto da Barack Obama 14 anni fa durante la crisi di General Motors e Chrysler.

Un colpo di mano così macroscopico da far imbufalire gli investitori. E mettere in allarme Bce, Eba e Comitato di risoluzione unico, che si sono subito attivati per sottolineare come nell'eurozona le regole siano diverse: «Gli strumenti di capitale ordinario sono i primi ad assorbire le perdite - si legge in un comunicato - e solo dopo il loro pieno utilizzo sarebbe necessario procedere alla svalutazione dell'Additional Tier 1». Reazione più che legittima alla luce dei crolli attorno al 10% che hanno coinvolto le obbligazioni AT1 di Deutsche Bank, Unicaja Banco, Raiffeisen Bank International e BNP Paribas. Picchiata che lascia prevedere tempi duri per questo mercato, con le nuove emissioni destinate a restare nel congelatore nel prossimo futuro.

La liaison forzata CS-Ubs non ha quindi dissolto i timori che sulla scena globale si ripresenti una grave crisi sistemica.

Le decisioni che domani prenderà la Federal Reserve saranno sotto questo profilo cruciali. I mercati si aspettano un rialzo limitato a un quarto di punto e un'inversione di rotta già a partire da maggio, mese che potrebbe inaugurare una nuova stagione di tagli del costo del denaro.

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