Sembrava un'esecuzione, invece a uccidere il 24enne Vincenzo Gabriele Rampello ieri mattina in pieno centro a Raffadali, nell'Agrigentino, è stato il padre.
«C'erano continue liti», ha confessato ai carabinieri Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo coordinatore di polizia in servizio dal 2001 al X Reparto mobile di Catania. Il delitto è avvenuto dopo le 11.30 al culmine di una lite. L'ennesima. Vincenzo, che aveva problemi psichici e diverse denunce per stalking, stava incontrando il padre a cui aveva chiesto 50 euro. Presto la discussione è degenerata, si è passati alle minacce e agli spintoni. Tutto, però, sembrava essere finito lì e Vincenzo se ne stava andando, quando il padre ha estratto la pistola d'ordinanza e gli ha sparato.
Quindici colpi, l'intero caricatore. Uno lo ha raggiunto in testa, sparato da una distanza ravvicinata, gli altri al torace quando il ragazzo era già a terra. Per i carabinieri di Raffadali e, in supporto, quelli della Compagnia di Agrigento non c'è nemmeno il tempo di fare ipotesi, perché nella piazza sono installate le telecamere di videosorveglianza comunali che hanno immortalato l'assassino. Non ci sono dubbi quindi: a uccidere Vincenzo è stato suo papà Gaetano, agente di polizia che in questi giorni era libero dal servizio perché stava usufruendo di alcuni recuperi.
L'uomo è stato rintracciato dai militari del Nucleo operativo Radiomobile di Agrigento mentre, seduto su una panchina sotto una pensilina, era in attesa dell'arrivo di un bus di linea probabilmente per fare rientro a Catania. Non ha opposto resistenza, ha consegnato il suo zaino con le armi all'interno, compresa quella utilizzata per uccidere il figlio. Il poliziotto è stato condotto in caserma dove è stato sentito dal magistrato di turno, Chiara Bisso, alla presenza del capitano Alberto Giordano. Incalzato dalle domande ha ammesso l'omicidio. Dei dissidi col figlio, che viveva da solo a Raffadali dopo la separazione dei genitori, Rampello non ne faceva segreto. Anche i colleghi ne erano a conoscenza ma, malgrado il «carattere particolare» dell'uomo, nulla faceva presagire una tragedia di tale portata. La lettura che del delitto, fatta dal procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, riguarda la sfera del sociale e accomuna questa all'altra tragedia recente di Licata, in cui Angelo Tardino, 48 anni, ha freddato a colpi d'arma da fuoco il fratello, la cognata e i due nipoti di 11 e 15 anni sempre per motivi materiali e poi si è suicidato. «I recenti episodi di tragica e inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento ha detto il procuratore capo - hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività».
E ha aggiunto: «Troppo spesso quelli che vengono definiti gesti di follia sono il portato di conflitti sociali e familiari che il sistema, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere».
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