Uccise il marito stupratore Noura condannata a morte

Aveva 15 anni e uccise l'uomo che la violentava ogni giorno. Il verdetto in Sudan dopo tre anni di fughe

Uccise il marito stupratore Noura condannata a morte

Noura non riesce a farsene una ragione. Non capisce per quale motivo, dopo essere stata abusata sessualmente dal marito e rinnegata dalla famiglia, debba andare incontro a una condanna a morte. Siamo in Sudan, nel cuore dell'Africa sequestrata dall'Islam più radicale. In una nazione dove la Shari'ah, il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica, non ammette deroghe o ripensamenti. Nel suo cuore Noura Hussein Hammad custodisce una grande sofferenza: quando aveva 13 anni, contro la sua volontà, venne data in sposa per un matrimonio combinato con un suo cugino di secondo grado. Nonostante il suo rifiuto, il matrimonio religioso fu celebrato. Fin qui sembra essere una storia (aberrante) come tante altre di spose bambine. Due anni dopo lei e il marito sottoscrissero anche l'unione legale che prevede, secondo la legge dell'arretrato Sudan, la pratica sessuale. I due sposi andarono in luna di miele a Khartoum, dove, dopo giorni di rifiuto, Noura venne violentata dal marito che la costrinse a fare sesso persino in presenza di altri parenti. Il giorno successivo, il 3 maggio del 2017, il marito cercò ancora una volta di umiliarla e di violentarla. Questa volta però Noura reagì e con un coltello da cucina ferì a morte il suo aguzzino. Qualcuno potrebbe pensare alla fine di un incubo, ma purtroppo siamo soltanto all'inizio. Noura tornò dalla famiglia, chiedendo rifugio, sperando di essere aiutata, ma il padre la consegnò alla polizia. Per i genitori non era più la loro figlia. Il padre pronunciò parole terribili di fronte ai poliziotti: «Ha perso la verginità, è una prostituta come tante altre, per di più un'assassina».

Da quel giorno Noura è rinchiusa nel carcere di Omdurman, la più grande città del Sudan. Condannata a morte per omicidio. La sentenza verrà eseguita esattamente tra due settimane tramite impiccagione. La storia è venuta a galla grazie all'interesse del Centre for Training and Protection of Woman and Child's Rights, organizzazione umanitaria che combatte le mostruosità perpetrata nei confronti delle donne e dei minori nel mondo dell'oscurantismo islamico. In Sudan da due anni è riconosciuto il «marital rape», lo stupro del coniuge, ma non è applicabile nel caso della ragazza, poiché condannata per omicidio premeditato. Senza contare che i giudici neppure hanno verbalizzato l'abuso sessuale al quale è stata ripetutamente sottoposta. La Shari'ah pesa come un macigno sulla vita di Noura, ma va anche detto che le norme radicali coraniche non vennero imposte dall'attuale presidente (e dittatore) Omer El Bashir, bensì dal colonnello Gaafar Nimeiry per consolidare il suo potere ottenuto tramite colpo di stato dell'ottobre 1971. Shari'ha o meno vale la pena ricordare che il Sudan è nazione patriarcale. Un posto dove le bambine possono sposarsi a 10 anni, dove l'arrivo del primo mestruo porta a una maggiore età che travalica l'anagrafe, dove il possesso dell'uomo sulla donna è assolutamente legale, e dove la donna che non esegue in modo corretto le faccende domestiche può essere percossa senza che il coniuge venga incriminato per maltrattamenti.

Il suo avvocato, Badr Eldin Salah, racconta di una situazione al limite del surreale. «È una ragazza molto dolce e coraggiosa, ma nessuno in tutto questo tempo si è preso cura di lei, non un vestito le è stato inviato, è l'unica prigioniera che non riceve visite. Solo di recente ha ricevuto il sostengo delle persone che nel mondo si stanno muovendo per aiutarla. Tutto questo l'ha resa felice e speranzosa».

Noura mantiene intatti i suoi sogni, racconta a Salah che vuole studiare per diventare avvocato e proteggere le persone dalle ingiustizie. Solo la grazia del presidente El Bashir potrebbe riaccendere la fiammella della speranza, ma 15 giorni potrebbero non bastare per scongiurare che avvenga l'imponderabile.

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