Devono risarcire di 15 milioni di euro la Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell'Interno. È una nuova scure che si è abbattuta lo scorso 14 maggio con sentenza di primo grado della Terza sezione del Tribunale civile di Catania su Antonino Speziale e Daniele Natale Micale, gli ultras del Catania che furono condannati per la morte dell'ispettore capo di polizia Filippo Raciti avvenuta negli scontri allo Stadio Angelo Massimino durante il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007. Ma Speziale non ci sta. E il suo storico legale, Giuseppe Lipera, ha presentato appello. Speziale è un uomo libero da un anno a questa parte dopo avere scontato per intero la condanna per omicidio preterintenzionale a 8 anni e 8 mesi di reclusione, nel corso dei quali il suo difensore ha presentato diverse richieste di anticipata scarcerazione con la concessione degli arresti domiciliari che sono state puntualmente rigettate. Con questo appello l'avvocato chiede alla Corte d'appello civile di Catania la riforma integrale della sentenza di primo grado, con rinnovamento del dibattimento e la citazione come testi del presidente del Consiglio e del ministro dell'Interno, della vedova Marisa Gasso, e di Micale che fu condannato a 11 anni di reclusione ed è tornato libero dopo oltre la metà della condanna scontata a Catania. La data di citazione dei testi è fissata al 30 giugno 2022. Nello specifico, la sentenza del 14 maggio 2021 condanna al pagamento di 15 milioni di euro come risarcimento danni alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell'Interno sia Speziale che Micale, e solo Speziale deve versare 25mila euro a entrambe le istituzioni ed è condannato ad altre spese.
Nel ricorso la difesa punta nuovamente sul mantra dell'innocenza di Speziale, sostenendo che «non ha alcuna responsabilità sulla morte del compianto ispettore Raciti». Questo malgrado nei diversi processi celebratisi nei tre gradi di giudizio Speziale, giudicato da minore quale era all'epoca dei fatti, sia stato sempre ritenuto colpevole di avere provocato la morte del poliziotto lanciandogli contro un sottolavello. Non ha retto, infatti, la tesi della difesa del «fuoco amico», ovvero che a procurare lesioni letali all'ispettore fu l'impatto con una Land Rover della polizia. Per il tribunale «i fatti hanno sicuramente leso l'immagine dello Stato come apparato atto a reprimere e prevenire scontri e tafferugli» ed è stato intaccato il patrimonio statale, viste «le indennità e le erogazioni corrisposte alla vedova e agli orfani».
La difesa sostiene «l'insussistenza del danno patrimoniale e non patrimoniale» ritenendo la cifra stabilita dal tribunale «eccessiva e sproporzionata, oltre che del tutto immotivata». Nel sollecitare la rinnovazione del dibattito, il difensore di Speziale chiede di «ammettere a prova» nove testimoni, tra medici legali, esperti del Ris e poliziotti.
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