Si ricomincia sciogliendo qualche nodo (Fitto), congelandone altri (Liguria, Rai, Autonomia e Ius scholae) e con un incidente di percorso su quello che è storicamente un tema su cui la maggioranza ha sensibilità diverse (il sostegno militare a Kiev).
Ma per quanto scontata da settimane, nel giorno del primo vertice di maggioranza post vacanze (presenti Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi), la notizia resta l'indicazione di Raffaele Fitto come commissario europeo italiano. Una decisione che la premier definisce «dolorosa» durante il suo lungo intervento introduttivo nel primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva. «Dolorosa ma necessaria, perché abbiamo scelto una persona di grande esperienza che ha gestito con ottimi risultati le responsabilità che le sono state affidate», aggiunge. Per Fitto un riconoscimento importante. E in effetti le deleghe che lascia - Affari europei, coesione, fondi strutturali e Pnrr - sono centri di spesa pesanti. E che, non a caso, fanno gola a molti. Ma per la successione c'è tempo. I prossimi passaggi, infatti, sono la conferenza dei capigruppo del Parlamento Ue prevista per l'11 settembre e a cui parteciperà Ursula von der Leyen, occasione in cui la presidente dovrebbe finalmente formalizzare la delicatissima questione delle deleghe. Con l'Italia che resta ottimista sull'eventualità di portare a casa la vicepresidenza semplice della Commissione e continua a sperare in quella esecutiva (che per Fitto sarebbe un incarico ben più pesante, non solo perché raggruppa deleghe di altri commissari ma anche perché attribuisce a tutti gli effetti la rappresentanza giuridica del presidente). Poi, molto probabilmente la prima settimana di ottobre, i commissari indicati dai singoli Paesi passeranno per le forche caudine delle commissioni competenti del Parlamento europeo. Un esame impegnativo e non scontato (nel 2019 furono bocciati in due). Non è un caso che Fitto si stia preparando da mesi per l'audizione e per rispondere alla sfilza di domande (con termini evidentemente tecnici) direttamente in inglese. Un passaggio nel quale il ministro per gli Affari europei avrà dalla sua l'ottimo rapporto con la von der Leyen e con il presidente del Ppe Manfred Weber (e quindi la quasi garanzia di non avere sorprese dai Popolari), lo scontato sostegno dei Conservatori di Ecr e la non ostilità dei Socialisti di S&D (ieri sono arrivati i complimenti del commissario uscente Paolo Gentiloni) e dei Liberali di Renew.
Solo dopo questo passaggio, Palazzo Chigi darà un accelerata alla questione delle deleghe di Fitto, ma con la tentazione di rinviarla a gennaio. Anche se c'è un tema tecnico. Il ministro uscente è sempre stato molto presente agli appuntamenti in Parlamento (in Aula e Commissioni) e se non venisse subito rimpiazzato la sua assenza tra novembre e dicembre potrebbe farsi sentire.
Ma nelle tre ore di vertice di maggioranza si sono affrontate ovviamente altre questioni. Con la solita distanza tra FdI e Forza Italia da una parte e Lega dall'altra sul sostegno militare all'Ucraina. Il passaggio del comunicato congiunto è infatti frutto di un compromesso e si limita a parlare di «totale sintonia» sulla politica estera, ma - per una svista - lo stesso testo diffuso dalla Lega parla di «contrarietà a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini». L'errore è stato rettificato, ma è evidente che tradisce una differenza di posizioni ben nota, con Salvini che ha più volte ribadito il suo scetticismo sull'invio di armi a Kiev.
Congelati, invece, i dossier Liguria (la Lega spinge per un tecnico d'area per evitare di dovere cedere a FdI il Veneto il prossimo anno), quello Rai (il
voto alla Camera slitterà ulteriormente), l'Autonomia (Meloni ha invitato a evitare strappi tra Lega e Fi, anche perché l'iter è ancora lungo) e Ius scholae (che la premier ha ribadito non essere nel programma di governo).
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