L'ultimatum in tredici punti inviato ieri dall'Arabia Saudita e dai suoi alleati Egitto, Unione degli Emirati e Bahrein al Qatar è quasi una dichiarazione di guerra, tanto che qualcuno l'ha addirittura paragonato a quello dell'Austria alla Serbia che scatenò il primo conflitto mondiale. È auspicabile che le conseguenze non siano così drammatiche, ma il documento ha già fatto salire a mille le tensioni nel Golfo e soprattutto ha creato le premesse per un intervento diretto nella vertenza di due pesi massimi come Turchia e Iran, entrambi chiamati pesantemente in causa.
L'iniziativa, voluta dal nuovo, giovanissimo erede al trono saudita Muhammad Bin Salman (con il probabile consenso degli americani, ma non di tutta la famiglia reale) segue di pochi giorni la rottura delle relazioni diplomatiche con il Qatar e la chiusura sia della sua unica frontiera terrestre con l'Arabia Saudita, sia del suo spazio aereo. Essa è la conseguenza in un certo senso inevitabile delle accuse (non del tutto infondate) mosse da tempo al giovane emiro Al Thani di foraggiare e sostenere sottobanco organizzazioni terroristiche come l'Isis, Al Qaeda, Hamas, Hezbollah e gli stessi Fratelli Musulmani, particolarmente invisi all'Egitto di Al-Sisi. L'ultimatum non specifica che cosa potrebbe accadere se il Qatar non ottemperasse alle condizioni poste, ma se gli immediati tentativi di mediazione messi in atto soprattutto dal Kuwait dovessero fallire, non è da escludere una invasione, che potrebbe davvero scatenare una guerra.
Le richieste saudite sono difficilmente ricevibili da un Paese che vuole mantenere anche un minimo di autonomia. Le due principali sono la chiusura delle emittente Al Jazeera, la Tv più diffusa nel mondo arabo, che ha contribuito alla nascita delle «primavere» e trasmette continuamente notizie sgradite ai regimi autoritari della regione e la espulsione dei 3.000 militari turchi oggi presenti nel Paese come «addestratori». Ma c'è anche molto altro: cessazione di ogni rapporto con le organizzazioni suddette, immediata interruzione di ogni relazione con l'Iran sciita, con cui il Qatar ha in comune forti interessi nel campo del metano, divieto di naturalizzazione e consegna di tutti i cittadini dei Paesi sospettati di attività terroristiche, fine dei finanziamenti ad altri due media considerati troppo liberal, pieno allineamento con le posizioni economiche e politiche del Consiglio di cooperazione del Golfo e perfino risarcimento dei danni fin qui provocati.
Le reazioni sono state immediate. Il direttore della edizione in lingua inglese di Al Jazeera, Giles Trendle, ha assicurato che proseguirà regolarmente le trasmissioni, parlando di «tentativo di sopprimere la libertà di espressione e di mettere la museruola alla voce della democrazia nella regione». È singolare, tuttavia, che per il momento non ci sia una analoga presa di posizione ufficiale da parte dell'edizione araba dell'emittente, che in realtà è il principale bersaglio dei sauditi e dei loro alleati. La Turchia, come c'era da aspettarsi, ha respinto con sdegno la richiesta di chiusura della sua base e intensificherà ulteriormente il ponte aereo di prodotti alimentari che, insieme a quello navale organizzato dall'Iran, ha permesso finora al Qatar, che importa l'80% del cibo che consuma, di resistere all'embargo.
Dieci giorni per impedire la degenerazione di uno scontro di questa portata sono davvero pochi, e comunque Al Thani non potrebbe piegarsi senza abdicare. Per la regione del Golfo, già oggi la più pericolosa del mondo a causa dello scontro tra sauditi e iraniani, sarà un periodo rovente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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