Usa, dal "black" al "pink" Ma esser nuovi non basta

Per Hillary campagna centrata sull'effetto della presidenza femminile. Obama è stato il primo nero però ha deluso, dalle minoranze al Nobel

Usa, dal "black" al "pink" Ma esser nuovi non basta

È oggi il primo evento della campagna elettorale di Hillary Clinton. «Mi metto in viaggio per guadagnarmi il vostro voto», ha detto l'ex First Lady ed ex Segretario di Stato domenica, nel video con cui ha annunciato l'intenzione di correre per la Casa Bianca. Sono 1.600 i chilometri che separano il suo quartier generale di Brooklyn, New York, dallo stato del Midwest dell'Iowa, il campo di battaglia nel quale subì nel 2008, alla sua prima campagna alle primarie democratiche, una sconfitta fatale contro Barack Obama. Allora Hillary, che ha robuste possibilità di diventare il primo presidente donna degli Stati Uniti d'America, aveva trascurato il fattore donna, messo comunque in ombra dalla prima corsa presidenziale di un candidato di colore. Non è invece un caso che oggi, primo giorno «on the road» di Hillary Clinton, sia in America «Equal Pay Day»: le attiviste dei gruppi femministi chiedono al governo di prendere posizione sulla discrepanza degli stipendi tra uomini e donne negli Stati Uniti, 77 centesimi per dollaro, come ha ricordato anche il presidente Obama nel suo ultimo discorso sullo Stato dell'Unione a gennaio.

Le donne in America votano in numero maggiore rispetto agli uomini e non c'è dubbio che Clinton questa volta userà il fattore femminile per gonfiare le possibilità di vittoria. Le aspettative di cambiamento per una donna presidente sono alte, quanto lo erano ai tempi della corsa del primo candidato alla Casa Bianca di colore. Se il successo di Barack Obama ha marcato uno storico passo per i neri in America, l'apice di decenni di lotta del movimento per i diritti civili, la sua presenza ai vertici non si è però tradotta in una profonda trasformazione nella strada americana, dove la questione razziale, come è emerso in questi mesi con i fatti di violenza di Ferguson (Missouri), Staten Island (New York), e quelli più recenti in Carolina del Sud, resta una ferita che spacca la società ancora troppo spesso.

«C'è una forte tentazione a leggere la candidatura di Hillary Clinton come tutta focalizzata sull'abbattimento della barriere da parte delle donne», ha scritto sul sito della CNN Jennifer L. Lawless, professore di governance all'American University. «Glass ceiling cracker», chi abbatte barriere, appunto: si definisce così sul suo profilo Twitter la candidata Clinton. Anche nel suo caso, però, come in quello di Obama, il successo di un unico politico, l'abbattimento seppur storico di un muro non significa necessariamente una trasformazione profonda della società americana.

«Una sua vittoria significherà una donna alla Casa Bianca, un passo vitale per la marcia verso la totale inclusione femminile in politica, - scrive ancora Lawless - ma è possibile che la marcia finisca lì», e che nulla cambi improvvisamente nella società americana, dove l'80% dei politici eletti restano uomini e le donne lamentano stipendi inferiori rispetto a quelli degli uomini.

Sgonfiare le aspettative di cambiamento è la tattica che in queste ore stanno usando per contrastare il rumore mediatico generato dalla discesa in campo di Hillary i neo-candidati repubblicani, puntando però su un'altra questione, il contrasto tra il vecchio e il nuovo.

Il senatore della Florida Marco Rubio - anche lui politico che per via delle proprie origini cubane potrebbe in caso di vittoria abbattere un altro muro - ha annunciato la propria candidatura ieri chiedendo agli elettori di «scegliere tra passato e futuro», e accusando Clinton - 67 anni - d'essere «un leader del passato».

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