«Quello giudiziario è un potere che si è espanso moltissimo negli ultimi cinquant'anni. Trovare un momento di convergenza fa parte dei doveri a cui ciascuno di noi non può abdicare. Il fondamento del giudice sta nella sua terzietà: se si è risolutori di conflitti non si può essere parte».
Il vicepresidente e membro laico del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, nel suo intervento in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, usa parole chiare e dirette per stigmatizzare il correntismo e accendere i riflettori sulla necessità di un riequilibrio dei poteri e del rapporto tra politica e magistratura. «Certo, la magistratura interviene legittimamente nel dibattito e porta il proprio contributo di competenza, ma non deve divenire parte del conflitto» continua Pinelli. «Anzi, nella società dei conflitti, in cui ogni contrasto è portato davanti al giudice, è proprio la magistratura a porre la parola fine ai conflitti stessi. Se tale connotazione fondante finisse per essere smarrita, la magistratura degraderebbe da soggetto costituzionalmente imparziale a soggetto che partecipa al conflitto. Ogni perdita di identità provoca smarrimento. Ebbene, l'identità dell'essere magistrato non postula la possibilità di essere di parte», sottolinea. Il vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura punta il dito contro il rischio di far prevalere logiche di parte. «Su molti degli interventi riformatori ha pesato e continua a pesare il bisogno di dare una risposta alle degenerazioni che, nel recente passato, avevano caratterizzato il fenomeno italiano del correntismo in magistratura. La migliore risposta alle accuse sulla degenerazione del correntismo, e alle riforme che si prefiggono di contrastarla, è l'impegno della magistratura stessa a riscoprire questa matrice di pluralismo culturale-giuridico e a praticarlo in una nuova cornice di centralità dei suoi doveri» continua il vicepresidente del Csm.
«L'indipendenza interna dei magistrati, che il Csm è tenuto a salvaguardare, non meno della loro indipendenza esterna, rappresenta infatti - conclude Pinelli - uno strumento indispensabile per garantire quell'imparzialità della magistratura che è la fonte prima della sua legittimazione come ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere e per rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia»
Sul dibattito, naturalmente, gravano le iniziative di protesta che l'Anm si appresta a mettere in campo in occasione dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario. E ribadisce: «Riforma pericolosa». Tutti in toga, con la coccarda tricolore e la Costituzione in mano, i magistrati contrari sono pronti ad abbandonare l'aula nel momento in cui il ministro o un rappresentante del ministero prenderà la parola.
Manifestazioni su cui l'esecutivo, con Antonio Tajani, detta parole dure. «Disertare o alzarsi quando il governo parla è come se quando parla un magistrato i rappresentanti del governo se ne andassero. Questo mi pare veramente sbagliato, perché ogni istituzione deve rispettare l'altra istituzione, ogni potere deve rispettare l'altra istituzione, ricordando che in democrazia il potere è nelle mani del popolo e chi rappresenta il popolo è il Parlamento. Noi abbiamo vinto le elezioni avendo come punto fondamentale del nostro programma la riforma del sistema giudiziario. Si può dissentire ma il popolo in democrazia è sovrano ed è il popolo che decide». Per il vicepremier sono «sacrosante le opinioni dell'associazione che riunisce i magistrati, dice ciò che vuole e vanno ascoltati, ma ricordiamo sempre che sono servitori dello Stato. Manifestazioni di questo tipo non vanno certamente nella direzione di rafforzare l'immagine dello Stato».
E un'altra chiave di lettura, non priva di una nota polemica, arriva da Enrico Costa: «Oggi il Procuratore generale della Cassazione si è detto preoccupato per i segnali di sfiducia nella magistratura. Poi ha spiegato di aver definito nel 2024 ben 1724 segnalazioni disciplinari nei confronti di magistrati e di averne archiviate oltre il 95%. Si è risposto da solo».
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