Nel corso di questa campagna elettorale viene periodicamente chiamata in causa la tradizione liberale, ma non è chiaro cosa si debba intendere quando ci si riferisce a essa. C'è chi, ad esempio, pensa che si possa essere un po' liberali e un po' socialisti (lo ritiene Carlo Calenda, in particolare), senza capire che non si può essere vivi e morti al tempo stesso; e già Benedetto Croce, d'altra parte, aveva parlato di «ircocervo» per ironizzare sul liberalsocialismo di Guido Calogero
Nel concreto delle proposte, poi, sembra che l'aggettivo «liberale» possa sposarsi a ogni posizione. Eppure non è così. Per dirsi liberali, in effetti, è necessario volere meno tasse e meno regole, riconoscendo il primato della società sullo Stato, oltre che la superiore legittimità del mercato rispetto a un'economia gestita da politici e burocrati. Quanti non vogliono ridimensionare la sfera pubblica a favore di individui, famiglie, e imprese, non possono richiamarsi al liberalismo. È ovvio che ci sono tanti liberalismi, ma una società basata su pianificazione, imposte, apparati tecno-burocratici e solidarietà di Stato non è una società aperta.
Un altro punto cruciale è il pluralismo culturale. Stiamo uscendo da una fase segnata da un dogmatismo scientifico di Stato, mentre già si preparano disegni di legge che con il pretesto di proteggere questo o quel gruppo d'interesse nei fatti violano la libertà di espressione. Di conseguenza, le forze schierate a difesa del politicamente corretto preparano una Nuova Inquisizione, che oggi non brucia chi intende erroneamente questo o quel passo della Bibbia, ma invece perseguita quanti si esprimono autonomamente su qualsiasi tema e ritengono che la libertà di pensiero ed espressione (quale fu difesa da Bayle e Spinoza) rimanga un valore da salvaguardare. Una versione coerente del liberalismo ritiene poi che gli uomini abbiano diritti naturali, che dunque non provengono dalle concessioni del potere. Da questa visione della società, quale fu formulata da John Locke, emerge pure l'idea che l'ordine politico deve basarsi su rapporti volontari, e non su imposizioni calate dall'alto. Per la sua natura plurale, il liberalismo è pensato con diverse accentuazioni: c'è chi ritiene che uno Stato (sebbene non troppo esteso) sia necessario, e chi invece lo nega; c'è chi pensa che la questione centrale sia il controllo statale sull'economia (moneta, imposte, spesa pubblica) e chi, al contrario, pensa che il nodo cruciale sia giuridico, perché vi è la necessità di restaurare il diritto, affrancandolo dalle volontà arbitrarie dei membri della classe politica.
È vero, a ogni modo, che il liberalismo è incompatibile con quell'attitudine elitaria, moralista e autoritaria che
contraddistingue i politici progressisti: quel ceto dirigente pronto a usare qualsiasi pretesto per gestire l'esistenza di tutti noi, rinchiuderci in casa, sottrarci risorse, inocularci questo o quel farmaco e tapparci la bocca.
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