"Venni invitato all'aperitivo, ma...". La frase che imbarazza Zingaretti

Dalle gaffe di Sala e Gori al brindisi di Zingaretti: così Speranza venne lasciato solo. La rivelazione nel libro scomparso

"Venni invitato all'aperitivo, ma...". La frase che imbarazza Zingaretti

Il capitolo più importante del libro scomparso di Roberto Speranza è il dodicesimo. Quattro pagine che vanno lette più per quello che “non” dicono che per il loro contenuto effettivo. Il titolo è eloquente: “La settimana della solitudine”. È il breve racconto di come il ministro e il suo dicastero si siano trovati isolati nei giorni immediatamente successivi alle prime zone rosse. Quando cioè il Paese e i politici di ogni estrazione ideologica evocavano il ritorno rapido alla normalità. Solo Speranza, dice lui, predicava prudenza. E in parte è vero. Ma il racconto pecca di due sbavature: da una parte non tiene conto della differenza informativa su cui poteva contare rispetto a tutto il resto d’Italia; e dall’altra dimentica di citare con più precisione chi fu, soprattutto tra i colleghi di governo e di maggioranza, ad abbandonarlo al proprio destino.

Siamo nei giorni a cavallo tra febbraio e marzo. Codogno ha appena scoperto il primo caso, poi è stata la volta di Vo’, del Lodigiano, del Veneto. Dopo le prime ordinanze, il governo istituisce, per la prima volta nella storia della Repubblica, i cordoni sanitari intorno ai focolai. Divieto di entrata o uscita: interi paesi diventano aree presidiate dai militari. “Subito dopo l’istituzione delle zone rosse - scrive Speranza - comincio a ricevere messaggi fortemente critici. Il sentimento prevalente del Paese, oltre che di larghissima parte del mondo politico e del mondo economico, è che abbiamo fatto un errore. Ho esagerato l’allarme, abbiamo chiuso troppo e troppo in fretta, bisogna riaprire e il più possibile”. Il ministro ritiene questi i “giorni più duri” di tutta la pandemia. “Mi rendo conto che siamo soli, al ministero si respira un’aria di isolamento, di difficoltà”. Non tanto per gli attacchi che arrivano dall’estero, dove già ci disegnano come gli untori d’Europa. Ma soprattutto per le critiche ricevute dall’interno. “Si fa largo l’idea - insiste Speranza - che stiamo esagerando, che al costo economico e sociale che le zone rosse stanno già pagando si aggiunga un importante danno di immagine sul piano internazionale”.

La ricostruzione storica del ministro è corretta, e conferma quanto scritto nel Libro nero del coronavirus (leggi qui). Speranza ricorda come i media italiani si siano subito schierati per la riapertura immediata, facendo notare “che nessuno in Europa sta adottando misure come le nostre”. Cita gli hashtag #milanononsiferma e #bergamononsiferma, promossi anche da alcuni sindaci di sinistra, tra cui quello di Milano Beppe Sala”. Un clima, scrive, che “coinvolge tutti, senza distinzioni da destra a sinistra”. Da una parte Matteo Salvini, che in un video esorta ad “aprire, aprire, aprire”. Dall’altra il Pd e le altre forze di maggioranza. Speranza sostiene che “in quei pochi giorni di fine febbraio io e i miei ci sentiamo controvento”. Non dice però chi, in Consiglio dei ministri, rema in direzione opposta. I grillini? Il premier Conte? Oppure Italia Viva? Una stoccata indiretta la riserva solo al Pd che “organizza un aperitivo sui Navigli per dimostrare che si può andare avanti senza fermarsi, continuare a produrre, a consumare”. Ed è qui che regala al lettore un aneddoto succulento: Speranza infatti era stato invitato all’aperitivo meneghino, ma ha declinato l’invito.

Il brindisi in questione è quello, ormai famoso, in cui il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, gioisce festante con i suoi militanti. Uno scivolone che si tende a dimenticare, eppure centrale nell’evoluzione politica della pandemia. Fatto curioso è che, pur ricordando l’episodio, Speranza non cita direttamente il leader del Pd. L’errore di Beppe Sala sì. Ma il pasticcio di Zinga no. Perché? Non ha voluto infierire sul collega con cui ha “un rapporto di amicizia e comune militanza nato negli anni della giovanile”? Possibile. La stoccata comunque è decisa. Aver cercato di coinvolgere il ministro della Salute, aneddoto fino ad ora sconosciuto, rivela la caparbietà con cui il Pd aveva preso l’enorme cantonata delle riaperture, in pieno contrasto con il proprio governo che le aveva appena decretate. Non proprio una bella figura. Ed è ancor più imbarazzante per il partito (e Zingaretti) aver tirato dritto anche dopo il gran rifiuto di Speranza: a nessuno è venuto in mente che, se il ministro si rifiuta di brindare, forse sa qualcosa in più che lo preoccupa?

Occorre però una precisazione. Speranza infatti parla di quella settimana “controvento” come se tutti avessero coscienza esatta del pericolo che incombeva sull’Italia. Invece nessuno poteva saperlo. Anzi: a giudicare dalle parole di Conte&co (“Siamo prontissimi”, “l’Italia è più forte del coronavirus”), l’ottimismo dei profani era più che giustificato. La convinzione del ministro derivava invece da un documento che solo lui e pochi altri avevano avuto il piacere di leggere: il “Piano operativo” anti-Covid, tenuto riservato dal Cts. La prima bozza, con i drammatici numeri dei contagi, era stata presentata a Speranza già il 20 febbraio: facile “mantenere la posizione” quando si ha un vantaggio informativo così enorme. “Senza il peso di quei giorni - scrive Speranza - forse avremmo potuto prendere prima alcuni dei provvedimenti di chiusura, e questo avrebbe ridotto il numero dei contagi e dei decessi”. Domanda: se questo era l’obiettivo, non sarebbe stato più logico rendere pubblico prima il “piano segreto” spiegando agli italiani la portata del disastro previsto dai matematici?

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6) continua: domani le rivelazioni sul piano segreto

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