Non è abbastanza. Non è mai abbastanza. Sempre lo stesso schema: la premier condanna il Fascismo e le sue atrocità, loro rispondono che manca sempre qualcosa. L'asticella deve salire su, più su, perché qualunque dichiarazione, qualunque presa di distanza, qualunque abiura è insufficiente.
Succede anche al giro di boa di questo 25 aprile. Giorgia Meloni scrive una lettera al Corriere della sera in cui è scolpita una frase granitica, comunque difficilmente superabile: «Da molti anni i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del Fascismo». Che altro c'è da aggiungere? Eh no, non va bene. Troppo poco. Beppe Sala, sindaco di Milano, punta il dito: «Spiace che Meloni, pur in uno sforzo che le riconosciamo ma che mantiene una evidente reticenza, non riesca a dichiararsi antifascista».
No, non ci siamo nemmeno questa volta, come tutte le altre, innumerevoli, in cui la leader di FdI non ha fatto sconti al regime, alla dittatura, alla deportazione spaventosa degli ebrei. Si possono sfogliare intere collezioni dei giornali e ogni volta si ritroverà lo stesso teatrino: «Sì, però».
Il 19 dicembre scorso, per esempio, la premier partecipa al museo ebraico alla cerimonia dell'accensione delle luci dell'Hannukah e si commuove fino a piangere. Poi abbraccia la presidente della comunità ebraica della capitale Ruth Dureghello e afferma: «Le leggi razziali furono un'ignominia. Voi siete una parte fondamentale dell'identità italiana. Tutte le tenebre del mondo non possono spegnere la fiamma di una candela».
Sentimenti & giudizio a braccetto. Inutile. «Giorgia Meloni ha 45 anni - è la staffilata di Gad Lerner - diciamo come minimo che la sua è una commozione tardiva. Dichiararsi amici di Israele non basta a rimuovere le colpe storiche del razzista Almirante, di cui essa fino a ieri rivendicava l'eredità».
In realtà, non si capisce dove sia il ritardo, visto che le requisitorie affilatissime sul tema da parte della leader della destra si susseguono. In ottobre, qualche settimana prima, Meloni scopre una targa per ricordare i 35 giornalisti espulsi dall'Ordine con le famigerate leggi del 38 e di nuovo pronuncia parole drammatiche, quasi apocalittiche, non riuscendo nemmeno a trovare la misura di un male così profondo e oscuro: «Ho sempre reputato le leggi razziali del 38 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che ha segnato la nostra storia per sempre. È una macchia indelebile, un'infamia che avvenne nel silenzio di troppi». «Nulla di nuovo al di là delle parole di circostanza - replica il presidente dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo - Nessuna definitiva condanna del Fascismo».
C'è sempre un altro indicibile, par di capire, e per i puri più puri quello del presidente del consiglio è solo un modo per annacquare le precise responsabilità del Fascismo.
Il 4 ottobre 2022, la politologa Sofia Ventura riprende gli stessi stereotipi e li consacra come un dogma: «La leader di FdI non condannerà mai il Fascismo». Il motivo? «Quella - è la risposta - è la sua dimensione esistenziale, l'intelaiatura del suo partito è ancora quella da ex Msi».
Anche se Meloni ha più volte chiarito di avere ben altre ambizioni: non rimanere imbottigliata nel retrobottega della storia, ma costruire un partito conservatore che è ben altra cosa e in Italia non c'è mai stato.
In ogni caso, la premier ha fatto inversione da un pezzo. Insomma, quello che per i critici dovrebbe ancora accadere è avvenuto già da un pezzo, solo che non se ne sono accorti. «Siamo stati e restiamo - sottolinea l'allora ministro delle politiche giovanili nel 2008 - gente che crede nella libertà, nella democrazia, nell'uguaglianza e nella giustizia. Siamo quelli che ogni giorno consumano i migliori anni della nostra gioventù per difendere questi valori Sono i valori sui quali si fonda la nostra Costituzione e che sono propri anche di chi ha combattuto il Fascismo». Concetti limpidissimi. Ma c'è di più. Qualche riga oltre, la giovane Meloni fa propria anche la distinzione di Fini fra l' antifascismo militante, impugnato come una clava, e «l'antifascismo democratico nei cui valori ci riconosciamo.
Gianfranco Fini - è la conclusione - ha operato questa distinzione perché voleva che il suo giudizio sul fasciamo fosse chiaro, netto, definitivo».Era così già nel 2008. Ma ancora qualche settimana fa un maestro del pensiero progressista, Tomaso Montanari, ospite di Lilli Gruber ha ripreso la vecchia vulgata: «Meloni è ambigua sul Fascismo».
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