Tutto inutile, anche l'ultimo appello del pm Adriana Blasco nell'udienza dell'altro ieri ai giurati perché non permettessero a un assassino di restare impunito. Da ieri Luigi Bergamin, leader dei Proletari armati per il Comunismo, uno dei sette terroristi rossi arrestati in Francia il 28 aprile dopo decenni di latitanza, non rischia più di essere estradato. Anzi: potrà tornare in Italia quando lo vorrà, senza patemi, da uomo libero. La Corte d'assise di Milano, presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini, ieri ha dichiarato prescritte tutte le condanne inflitte nel corso degli anni a Bergamin. Compresi i ferimenti e gli ammazzamenti eseguiti a sangue freddo in nome della rivoluzione.
Di fatto, uno dei sicari più sanguinari della storia dell'eversione esce impunito dalla scena. Un esito contro il quale la Procura di Milano si era battuta strenuamente, a partire dalle settimane scorse, quando si era capito che i governi italiano e francese avevano raggiunto l'accordo per la consegna di un congruo numero di fuggiaschi protetti finora dalla «dottrina Mitterrand». Nell'elenco dei latitanti, Bergamin occupava un posto d'onore, per il suo ruolo di leader dei Pac, e per la gravità dei delitti commessi nel 1978: l'uccisione del comandante del carcere di Udine Antonio Santoro e dell'agente della Digos milanese Andrea Campagna. A tempi di record, la pm Blasco aveva chiesto e ottenuto che Bergamin venisse dichiarato delinquente abituale, unica strada per evitare la prescrizione delle condanne.
Troppo tardi. Ieri la Corte d'assise accoglie le richieste della difesa, e dichiara cancellato dal tempo l'intero conto in sospeso di Bergamin con la giustizia. Estinti i ventitrè anni inflittigli per avere ammazzato Santoro, estinti i due anni per le tre gambizzazioni, estinti i due anni per l'omicidio dell'agente Campagna. Non sono errori di stampa. Per l'uccisione del poliziotto milanese, a Bergamin vennero inflitti solo due anni in più di carcere, grazie alla concessione della «continuazione»: come se quell'agente di venticinque anni, colpevole solo di indagare sull'eversione armata, fosse solo una tacca in più sul curriculum criminale dei Pac. Uno in più, uno in meno, cosa cambia? A perfezionare il trattamento, arrivò la concessione da parte dei giudici delle «attenuanti generiche».
Se a Bergamin fosse stato dato l'ergastolo, come al suo amico e complice Cesare Battisti, la sua pena non si sarebbe mai prescritta, e oggi la sua consegna all'Italia sarebbe a portata di mano come quella di Marina Petrella, la dirigente delle Brigate Rosse finita anche lei nella retata del 28 aprile. Invece l'indulgenza inspiegabile con cui è stato trattato dai giudici nei processi gli apre la porta all'impunità. Già nel 2008, quando era latitante ormai da diciott'anni, il tribunale di Milano aveva dichiarato prescritta la condanna-beffa a due anni per l'omicidio di Andrea Campagna. Ieri viene cancellata anche la condanna per l'omicidio Santoro. Bergamin è un uomo libero, ha espiato la sua pena senza un giorno di cella.
Nel corso dell'udienza a porte chiuse, la rappresentante della Procura aveva cercato di toccare, insieme alle corde del codice anche quelle dell'etica.
Aveva spiegato che sì, dopo la retata francese in Italia molti avevano protestato, sostenendo che ad essere arrestati erano uomini e donne ormai cambiati, e che una giustizia arrivata dopo decenni non ha senso. Ma i delitti restano delitti, aveva detto il pm. E il carcere resta un male necessario.Ma quanto sia brutto il carcere Luigi Bergamin non lo saprà mai.
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