Pd e M5S lavorano all'inciucio. Ma resta lo scontro su Conte

Quattro ore di faccia a faccia per spartirsi le poltrone. Ma i dem: "Strada in salita". E i grillini: "La pazienza ha un limite"

Pd e M5S lavorano all'inciucio. Ma resta lo scontro su Conte

È il giorno decisivo per l'ormai già ribattezzato "governo giallorosso". Prima un vertice lampo, alle 18, tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Poi una riunione fiume alle 21 a cui hanno partecipato pure Andrea Orlando e Giuseppe Conte (presente in qualità di esponente grillino e non come figura terza).

Ma se l'incontro sembrava essersi aperto con il superamento della questione del premier che ha tenuto banco i giorni scorsi, al termine delle quattro ore sembra essere tornati al punto di partenza. Con i grillini intestarditi sulla riconferma del presidente del Consiglio uscente e i dem (renziani a parte) fermi sull'opportunità di segnare una discontinuità a partire dai volti rispetto al governo precedente. Il Pd non ha ancora dato via libera al Conte bis, dicono dal Nazareno, sottolineando che la strada è "in salita" soprattutto sui contenuti, sul programma e sulla legge di bilancio.

"È un momento delicato e chiediamo responsabilità, ma la pazienza ha un limite", ribattono dal Movimento 5 Stelle, "L'Italia non può aspettare. Servono certezze". I grillini lamentano che i dem oggi non hanno " mai parlato di programmi o di manovra, bensì solo di ministeri". Cioè proprio quello che denunciava Matteo Salvini.

E al centro del vertice pare infatti che più che i contenuti dell'accordo ci sia stata la spartizione delle poltrone. Con Di Maio che avrebbe messo sul piatto l'ipotesi di mantenere l'incarico da vicepremier e prendere anche quello da ministro dell'Interno. Una richiesta che però sarebbe stata già respinta dal Pd.

Anche quando si tratta su contenuti specifici, come il nodo Tav, si parla di poltrone: fondamentale è per entrambi i partiti accaparrarsi il ministero delle Infrastrutture e Trasporti per imprimere la propria visione all'esecutivo. Il nome che gira è quello della vicesegretaria Paola De Micheli (che però potrebbe anche andare allo Sviluppo Economico) mentre il Movimento 5 stelle propone l'attuale capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli.

Il Mef dovrebbe invece andare al Pd (ci sarà un clamoroso ritorno di Pier Carlo Padoan?), ma non è esclusa la riconferma per Giovanni Tria. Andrea Orlando (che ha partecipato al vertice al fianco di Zingaretti) potrebbe essere nominato unico vicepremier, mentre Di Maio dovrebbe comunque ottenere una poltrona. Così come altri tre ministri grillini: Alfonso Bonafede, Giulia Grillo e Riccardo Fraccaro. Dentro - pare - anche Paolo Gentiloni agli Esteri, mentre la Giustizia potrebbe essere affidata a Pietro Grasso in cambio del sostegno al governo di Liberi e uguali. Sempre più probabile invece che il segretario Pd resti alla Regione Lazio e non entri nel governo.

"Il confronto è partito", aveva detto Zingaretti prima del secondo incontro, "Giudico questo un fatto positivo per dare al paese un governo di svolta". Sembrava anche un segnale concreto a Sergio Mattarella, che aveva chiesto entro le 19 di oggi una risposta.

Ora il negoziato tra Pd e M5S si è di nuovo arenato - più che sui contenuti dell'accordo - sui nomi. I due partiti hanno ancora tempo per trovare una quadra. Ufficialmente il Capo dello Stato incontrerà domani e mercoledì le forze politiche per capire come sbloccare la crisi.

Ma si parte da istituzioni e partiti minori: i big saranno ricevuti solo nel pomeriggio di mercoledì. Ma oggi è stato chiaro: i due partiti che si sono presi l'incarico di cercare un accordo che eviti il ritorno alle urne devono arrivare con le idee chiare.

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