Precisamente dieci anni fa quando ricoprivo l'incarico di senatore eletto in Liguria - esperienza che non rimpiango - trovai una regione calata in una sorta di letargo, infrastrutture fatiscenti e pochi investimenti. Ricordo ancora che con un altro senatore, Maurizio Rossi, parlamentare della lista di Mario Monti, presentammo un'interrogazione per sollecitare i lavori della Gronda, una sorta di tangenziale che avrebbe offerto un'alternativa a chi dal Sud doveva andare al Nord, e viceversa, non obbligando gli automobilisti ad attraversare la città passando per il ponte Morandi. Scrivemmo anche che il ponte, costruito 50 anni prima era sottoposto per il passaggio di vetture e Tir ad uno stress esagerato che ne metteva a dura prova la resistenza e che quella sorta di bretella di autostradale ne avrebbe alleggerito il carico. Parole al vento anche perché già allora il «no» alla Gronda per i grillini era diventato un contenuto identitario. Trascorsero quattro anni e ci fu il tragico crollo. Dieci anni dopo ci risiamo. Andrea Orlando, candidato del fu «campo largo» - che prima con l'esclusione di Matteo Renzi poteva essere definito il «campo monco» e che ora, parola di Giuseppe Conte «non esiste più» - imbarcando i grillini nella coalizione deve rimettere in discussione la costruzione dell'opera nascondendosi dietro l'alibi che mancano le risorse. In realtà la ragione vera è che torna a pesare l'avversione grillina. Per cui su Genova e l'intera Liguria aleggia di nuovo l'ombra dell'«oscurantismo» sulle grandi opere, quando la creazione di nuove infrastrutture (l'elenco è lungo) è la vera emergenza per la Regione. Ora la questione non investe tanto Orlando che, poveretto, la Gronda la farebbe ad occhi chiusi. Né il Pd. Né la proposta di Elly Schlein (foto) del «campo largo» perché è l'unica strategia che potrebbe offrir alla sinistra «chance» di vittoria. Insomma, non ha alternative. Il problema è l'interpretazione e la filosofia con cui ci si approccia. Perché se l'idea, come sta avvenendo in Liguria, è un'alleanza egemonizzata dai grillini, il Pd corre un grosso rischio: quello di svenarsi per un'ipotesi che non gli offre nessuna garanzia di vittoria. Una perversa eventualità che esiste, eccome. Anzi, peggio: i grillini oggi ci sono e domani no. Conte prima ha fatto l'accordo con Orlando in Liguria, poi ha fatto saltare il progetto in Emilia Romagna e Umbria prendendo come alibi la presenza del «lobbista» - parole sue - Renzi, il che detto da un ex-avvocato d'affari fa quasi ridere. Un gioco pericoloso, condotto in asse con Fratoianni che come faceva una volta il Cav tira in ballo i sondaggi: «Con Renzi noi prendiamo 2 elettori e ne perdiamo 5. Lui è tabù al di là delle sue colpe come una volta D'Alema». Sarà, ma per ora i sondaggi dopo le sortite di grillini e sinistra radicale dicono altro: se prima in Liguria il centrosinistra distaccava il centrodestra di diversi punti, ora la distanza si è ridotta a un lumicino e addirittura c'è una rilevazione che segnala il sorpasso. Il pericolo il vertice del Pd lo ha ben presente. Solo che di fronte all'intransigenza dei grillini e della sinistra radicale, alle loro mire egemoniche, per ora - per amor di coalizione - gioca solo in difesa. Per cui i più evitano il braccio di ferro e si rifugiano in risposte vaghe. «La Gronda non la mettiamo in discussione - spiega Gianni Cuperlo - bisogna vedere però se ci sono i soldi». Mentre Matteo Orfini si lascia andare ad un atto di fede: «Orlando è un uomo di governo per cui la faremo». Solo che il limite è proprio nel fatto che i grillini non rispondono ad una logica di governo. Non la comprendono. Ecco perché il tema centrale riguarda il profilo della coalizione che non può avere un «baricentro» spostato troppo sul versante di sinistra. Tanto più che questo pezzo dello schieramento non accetta mediazioni, pone «veti», gioca da padrone del «campo» altrimenti, come ieri Conte, è pronto a far saltare il banco. Un problema di non poco conto che i più accorti nel Pd (o semplicemente quelli che hanno il coraggio di parlare a voce alta) non nascondono. «Lo spiego con la tecnica - esordisce Nico Stumpo, seguace di Bersani che non ha ma avuto simpatie per Renzi - : per tenere in piedi uno schieramento, per evitare instabilità che lo mettano in difficoltà con l'elettorato c'è bisogno di calcolare il nocciolo centrale d'inerzia. Ragion per cui non possiamo assecondare i grillini se dicono no ad un'opera come la Gronda di cui tutti i genovesi sono coscienti dell'importanza. In fondo la presenza di Renzi poteva servire a spostare il baricentro della coalizione verso posizioni di maggior buonsenso». E un bagno di realismo lo fa anche Roberto Morassut, che ha alle spalle una lunga esperienza negli enti locali. «In Liguria è difficile - spiega - anche perché Bucci è un candidato insidioso. La verità è che noi non possiamo accettare i continui ricatti dei grillini». E, infatti, qualcuno già agisce per conto suo.
Il candidato governatore del Pd per l'Emilia Romagna, De Pascale, se ne è infischiato del «diktat» di Conte e ha confermato l'intesa con Renzi. Non vuole essere vittima del tragico paradosso di cui parla Roberto Giachetti di Iv: «Perdere la faccia cedendo ai 5stelle per poi, alla prova delle urne, non vincere».
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