Dieci ore di agonia. Serena Mollicone, la diciottenne di Arce trovata senza vita a Fontana Liri, in provincia di Frosinone, il 3 giugno 2001, poteva essere salvata. Ma gli assassini, dopo averla colpita alla testa, l'hanno lasciata morire in un bosco. «Una morte lenta», spiega l'anatomopatologa Cristina Cattaneo dell'Università di Milano, ascoltata dai giudici della Corte di Assise di Appello di Roma che il 26 ottobre hanno riaperto il caso, dopo l'assoluzione in primo grado del Tribunale di Cassino dei cinque imputati. Alla sbarra l'ex comandante dei carabinieri del paese ciociaro, Franco Mottola, suo figlio Marco e sua moglie Annamaria, accusati di concorso in omicidio. A processo anche due carabinieri in servizio nella stessa caserma, il maresciallo Vincenzo Quatrale e l'appuntato Francesco Suprano, accusati di omicidio in concorso con i tre e, solo Quatrale, anche di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi. A depistare per anni le indagini, secondo l'accusa, è stato Suprano.
Seconda udienza in secondo grado sul drammatico caso della liceale che voleva denunciare gli spacciatori del paese e che proprio nella caserma dei carabinieri sarebbe stata aggredita prima di essere trasportata, in fin di vita, nel bosco delle Anitrelle. «Serena - spiega in aula la consulente - aveva un edema celebrale ma senza sanguinamento. Non la tipica emorragia, quindi non è morta sul colpo. Probabilmente muore perché le vengono chiuse le vie aeree, tra le 13 e le 20,30 dello stesso giorno». Ovvero il 1° giugno quando, uscita di casa per la denuncia, scompare nel nulla. Un'agonia, la sua, durata da una a dieci ore, secondo la professoressa Cattaneo. Il consulente ha ribadito ciò che aveva già affermato a Cassino, ovvero che il cranio della Mollicone «è compatibile con il buco nella porta della foresteria dei carabinieri. La testa ha impattato con l'arcata zigomatica».
All'udienza di ieri erano presenti solo Franco e Marco Mottola e il carabiniere Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. La Cattaneo ha ribadito un punto fermo per l'accusa, stabilito nel laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense Labanof e che conferma il rapporto del Ris: «La testa di Serena è molto più coerente con la lesione (riportata nell'impatto con la porta, ndr) che con un pugno». Serena sarebbe stata ferita, al termine di una lite, nell'alloggio della caserma di Arce e avrebbe sbattuto la testa contro la porta danneggiandola. La difesa sostiene, invece, che quella lesione sulla porta dei Mottola sarebbe stata causata da un pugno scagliato da Franco in un altro momento. Il corpo viene poi trasportato altrove per inscenare un delitto passionale.
«Serena voleva denunciare il figlio del comandante - racconta al Giornale nel 2019 il padre della ragazza, Guglielmo Mollicone, che sarebbe poi deceduto nel 2020 -. Ma è finita nella tana del lupo: è stata portata negli alloggi e uccisa». Un caso segnato da gravi errori giudiziari.
Come testimonia Carmine Belli, il carrozziere accusato nel 2003 dell'omicidio, rinchiuso in carcere per 19 mesi e scagionato dopo tre gradi di giudizio. Il suo errore? Andare in caserma per aiutare nelle indagini: «Credo di aver visto la ragazza scomparsa», aveva raccontato a Mottola.
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