Virginia e la sindrome Marino

Virginia e la sindrome  Marino

Virginia Raggi e Ignazio Marino. Così lontani, culturalmente e politicamente. Eppure così vicini in questi giorni in cui il Movimento inizia ad interrogarsi sul «suo» sindaco e sulle sue effettive capacità di amministrare una città come Roma. Capitò anche a Marino quando il Pd cominciò con diffidenza a trattarlo come una sorta di «marziano». E sappiamo tutti come è andata a finire.

Passati poco più di due mesi dalla vittoria del Campidoglio, dunque, il paradosso è quello di un M5s che si propone come il nuovo che avanza e che oggi sembra seguire esattamente lo stesso spartito con cui lo scorso anno il Pd - Matteo Renzi in prima persona - decise di disfarsi di Marino, un sindaco che ha avuto mille difetti ma che agli occhi del premier ha pagato soprattutto quello di non rispondergli direttamente. Si tratta, è evidente, di situazioni per molti versi differenti. Ma che hanno il minimo comune denominatore di due sindaci sui cui pesa come un macigno la diffidenza dei rispettivi partiti. E se Marino ci ha messo quasi due anni a logorarsi, la Raggi pare aver accelerato i temi e passati solo settanta giorni è già nell'occhio del ciclone.

Il termometro di quanto sia tesa la situazione sta nel tira e molla di ieri di Beppe Grillo. Di prima mattina, infatti, filtra dal suo staff l'intenzione di essere a Roma lunedì, per incontrare sia il direttorio che la Raggi. Poi, passate poche ore, la retromarcia: nessuna trasferta capitolina. Certo, si fosse davvero presentato, avrebbero tutti parlato di un sindaco «commissariato». Detto questo, è difficile non avere l'impressione che Grillo abbia preferito non mettere la sua faccia - e quindi quella di tutto il Movimento - su un caso che rischia di implodere di qui ai prossimi mesi, condizionando pesantemente le aspirazioni nazionali dei Cinque stelle. Insomma, esattamente lo stesso schema che seguì Renzi con Marino.

Due percorsi «paralleli», insomma. Con altre assonanze, visto che sia Marino che la Raggi sono stati candidati a sindaco dopo essere stati indicati dalla base dei propri partiti (nel Pd con le primarie, nel M5S con le comunarie). Il dubbio, a questo punto, è che possano avere in comune anche lo stesso destino. Loro, ma anche i rispettivi leader di riferimento.

Chi conosce Roma, sa che Renzi non è riuscito né a smarcarsi né a far dimenticare la disastrosa gestione di Marino. Allo stesso modo, se dovessero fallire con la Raggi difficilmente i Cinque stelle non pagheranno un pesante dazio in termini di consensi alle prossime politiche.

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