C'è chi dice che in fondo sia un film già visto tre volte, in Francia. E che dunque lo scenario di una nuova «coabitazione» sia tutto sommato digeribile dal sistema transalpino. Peccato che quel sistema conosciuto finora nella V Repubblica sia stato però, nel frattempo, frantumato dal presidente in carica Emmanuel Macron, entrato al potere come uno schiacciasassi dopo una parentesi da consigliere e da ministro sotto la presidenza Hollande.
Non a caso soprannominato Jupiter, Giove-Macron ha plasmato l'amministrazione a sua immagine e somiglianza. Ha innestato un modello di gestione del potere più proprio delle start up, in una Francia altrimenti abituata a ben più collaudati frutti del semipresidenzialismo, e tra questi c'è proprio l'ipotesi di «coabitazione»: un presidente di centro-destra con un premier della gauche; fu il caso di Chirac e Jospin, il più recente del 1997-2002. O quello del '93-'95, viceversa, fra il capo dello Stato Mitterrand e il primo ministro neogollista Balladur. E prima ancora tra la stessa «Sfinge» socialista e Chirac, il primo all'Eliseo e il secondo a Matignon, tra il 1986 e il 1988. Stesso schema, epoche diverse e sfide sempre interpretate dai due ruoli in campo nel rispetto degli equilibri partitici e soprattutto parlamentari.
Ma oggi il Paese abituato a quella netta distinzione destra-sinistra, con vari cartelli a fare perlopiù da corollario alla democrazia francese, è tornato a essere nostalgico di quell'equilibrio, che Macron ha sostanzialmente disunito. Lui, padrone degli orologi («maître des horloges», come ha sempre amato definire il suo ruolo all'Eliseo) si è impossessato dell'anima della democrazia francese, dando nuova forma alle cariche, interpretando la Costituzione, e cavalcando pericolosamente il sottile filo che distingue il semipresidenzialismo dalla monarchia assoluta.
Per questo, se è vero che la coabitazione non è una novità Oltralpe, nel caso di Macron sarà doppiamente complessa da gestire. È anche una questione di caratteri. Macron non è il mite Chirac. In questi anni l'ex enfant prodige ha fatto fatica perfino a «coabitare» con i suoi. Ha cambiato 4 primi ministri in 7 anni. E da giorni, non a caso, una parte (sana) della «macchina» dell'amministrazione, e dell'Eliseo in particolare, si è azionata per fargli capire che non può pensare di dare ordini al nuovo capo del governo come ha fatto finora con i «suoi», se Bardella sarà; il quale, da giorni, ripete che non intende essere un mero «collaboratore». Ma «intransigente» sul programma nel «rispetto delle istituzioni» e del ruolo del presidente. Quello storico, però, di chiave di volta del sistema, ben diverso dall'innescante filosofo a metà fra Stato e Dio.
Dopo aver azzardato in patria con lo scioglimento dell'Assemblée, e in Ue con la forzatura sulle nomine, Macron dovrà quantomeno accettare che il 28enne abbia voce in capitolo nei vertici europei, come accaduto in passato. Su Esteri e Difesa, in punta di diritto, si decide insieme. Facile a dirsi, più complicato alla prova dei fatti, con Giove-Macron.
Se infatti ai tempi di Prodi presidente della Commissione, il prof ringraziava Jospin al pari di Chirac, e con lui interloquiva fattivamente, Macron per ora sembra intenzionato a far spallucce; in barba a quel processo di «parlamentarizzazione» messo in campo da Mitterrand e poi da Chirac. Preferendogli, piuttosto, una netta ingerenza nella politica dell'esecutivo. Di matrice sarkozista: l'ex presidente diventato non a caso una sorta di suo «consigliori».
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