Vite in mano ai giudici. Dopo Charlie c'è Isaiah: "Deve morire anche lui"

Il bimbo di 11 mesi vive grazie alle macchine Non sarà decisivo il volere dei suoi genitori

Vite in mano ai giudici. Dopo Charlie c'è Isaiah: "Deve morire anche lui"

Isaiah come Charlie. Vite di bambini contese. Il cuore e la legge. Lo strazio dei genitori che ne supplicano la sopravvivenza, le prove dei medici dall'altra. E la ragione chissà da che parte si mette. Cercare un senso, una ragionevole via maestra senza inciampare. Difficile. Quasi disumano. Un giudice chiamato alla scelta estrema, al dilemma che pesa sulle spalle come un macigno da portare adesso e per sempre: staccare la spina o andare avanti. Dopo la storia straziante del piccolo Charlie, ancora dall'Inghilterra, arriva il caso di Isaiah di undici mesi. Anche per lui i medici non danno alcuna speranza. Appena nato il piccolo è rimasto senza ossigeno per un tempo troppo lungo e che lo avrebbe condannato senza appello. «Un catastrofico danno cerebrale», hanno dichiarato i medici davanti ai giudici. Il bambino vive in uno stato di limitata coscienza, non è in grado di muoversi, non può respirare senza il «polmone artificiale» e non risponde a stimolazioni assicurano e sopravvive grazie ai macchinari per la ventilazione artificiale. Eppure i genitori, Takesha Thomas e Lanre Haastrup, lottano. Per la vita, per il piccolo, a cercare la luce nel fondo, comunque andare avanti, perché i macchinari non smettano di funzionare, perché nessuno si avvicini per staccare quella maledetta spina a cui devono tutto. E allora eccola la battaglia, la guerra a colpi di prove strazianti. La vita del bambino che diventa caso di discussione. La speranza e l'attesa. Ieri la decisione dell'Alta Corte del Regno Unito che ha autorizzato i sanitari del King's College Hospital di Londra a «staccare la spina», contro la volontà del padre e della madre. Secondo gli specialisti Isaiah non risponde alle stimolazioni e non ci sono possibilità di migliorare le sue condizioni. Per questo il magistrato ritiene che non sia «nel suo miglior interesse» continuare così. Fiona Paterson, l'avvocato dell'ospedale ha ammesso: «nessuno può comprendere il dolore provato dai suoi genitori», eppure schiaccianti prove mediche indicano che interrompere ogni trattamento è la cosa migliore per Isaiah. Vallo a spiegare ai familiari che si rivolgeranno a un avvocato per ottenere un appello che prolunghi la vita del loro figlioletto.

Lo strazio del piccolo Charlie era durato quattro soffertissimi livelli di giudizio, consultazioni di esperti in tutto il mondo, anche l'ospedale di Roma si era fatto avanti. Appelli e risposte, il mondo a guardare, a sperare per quel piccolino ingarbugliato di fili, a sostenere con il pensiero quei genitori giovani e inarrestabili. La battaglia fino alla fine. E fino in fondo a dire no. Che una spina a un bambino non si può staccare perchè un bambino è speranza a priori anche quando di speranze la medicina non ne dà. La parola finale dei giudici aveva dato ragione ai medici: «accanimento terapeutico».

«Emetto questa sentenza con profonda tristezza», ha dichiarato il giudice MacDonald dell'Alta Corte che si sta occupando del caso di Isaiah. «Siamo delusi», hanno risposto i genitori. «Quando gli parlo, reagisce, lentamente, aprendo un occhio.

Io vedo un bambino malato, che necessita amore e cure. Io lo amo e posso dargliele. Non è giusto affermare che non ha diritto di vivere». E chi ha il coraggio di guardare in faccia una madre e dirgli che invece finisce così?

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