Il vizio di Bonelli garantista a intermittenza

Angelo Bonelli ha presentato un esposto in procura. Troppo spesso il dibattito politico avviene nelle aule di tribunale e non in Parlamento

Il vizio di Bonelli garantista a intermittenza
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C'è una reazione istintiva, un comportamento automatico sia pure legittimo che stona nel caso del ministro Gennaro Sangiuliano ed è la decisione del verde Angelo Bonelli di presentare un esposto alla procura.

Il ricorso alla magistratura che la sinistra fa puntualmente in vicende di questo tipo, infatti, tradisce l'inclinazione ad assegnare una sorta di delega in bianco alle toghe su vicende (e quella in argomento è esemplare) in cui i risvolti politici, di costume, magari di senso delle istituzioni sono sicuramente più centrali (e importanti) di quelli giudiziari. È uno strumento usato anche a destra (vedi vicenda Covid), ma che a sinistra è talmente scontato da trasformarsi in un limite: è quasi l'ammissione di un'incapacità ad esercitare la funzione di controllo che la Costituzione assegna alle opposizioni con la chiamata in causa di un altro Potere al grido «arrivano i nostri». Di più è anche un errore tattico per lo schieramento che ha messo Sangiuliano nel mirino perché a questo punto il ministro, il governo o la maggioranza potrebbero tranquillamente congelare l'intera vicenda con la frase di rito: «lasciamo che la giustizia faccia il suo corso».

Insomma, questo meccanismo potrebbe rivelarsi anche un boomerang per le mire dell'opposizione.

Ma a parte la tattica l'abitudine di tirare in ballo sempre la magistratura da parte della sinistra pone una questione ben più importante: in un Paese come il nostro in cui spesso pezzi della magistratura sono stati accusati di essere di parte, di fare politica (le confessioni di Palamara sono pur sempre quelle di un ex-presidente dell'Anm) la scelta di un partito di investire un Pm di una vicenda del genere, magari scegliendo l'amico di turno, non aiuta ma getta un'ombra di speculazione su un caso che tutti per il bene delle istituzioni dovrebbero avere interesse a chiarire.

Una vicenda in cui più dei reati - tutti da dimostrare - conta il sapore della pochade, lo spaccato di costume, in sintesi lo stile di una classe dirigente. È quello che rimarrà nell'immaginario dell'opinione pubblica non certo le carte bollate. Sarà quel giudizio che determinerà le dimissioni del ministro Sangiuliano semmai ci saranno.

Una richiesta di supplenza al potere giudiziario fotografa inoltre un limite della politica e in fondo la sua impotenza. E finisce per colorare anche le inchieste, mettendone in dubbio l'obiettività. Tanto più che il partito che ha presentato l'esposto è lo stesso che appena qualche mese fa con una battaglia «garantista» sul caso di Ilaria Salis (accusata di violenze e altro) ha sovrapposto il giudizio politico, cioè quello degli elettori che l'hanno eletta al Parlamento europeo, a quello dei tribunali. Far seguire alla vicenda Salis il caso di Giovanni Toti, costretto alle dimissioni con la custodia cautelare, e ora quello del ministro Sangiuliano, magari sempre con l'idea di costringerlo alle dimissioni per via giudiziaria, è l'ennesima rappresentazione di un «garantismo» di parte, esercitato a seconda dei casi con due pesi e due misure. La radiografia esatta di come in realtà viene condotta la lotta politica in questo Paese ormai da più di trent'anni.

Si preferiscono di fatto gli esposti, la denunce in procura chessò all'istituto della sfiducie individuali presente nei regolamenti parlamentari, si preferisce dare battaglia nei tribunali e non in Parlamento. In fondo è un altro segno della debolezza della politica che per interesse di parte o per pochezza finisce sempre e comunque, direttamente o indirettamente, per assegnare un ruolo di supplenza alla magistratura.

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