Zero alcol, scope, preghiere È l'"invasione" dei turbanti

A Mantova fra i Sikh arrivati da tutt'Italia per il Vaisakhi: «Ci confondono coi talebani, ma siamo molto diversi»

Zero alcol, scope, preghiere È l'"invasione" dei turbanti

C'è Ravinder che si propone da guida perché vuol farmi conoscere il responsabile dell'organizzazione di questa festa sikh chiamata Vaisakhi. Ha un turbante bianco e mi dice: «Io mucche latte« perché nella vita di tutti i giorni munge mucche per le stalle di un'azienda agricola del mantovano.

Sicuro che Giulio Romano mai si sarebbe immaginato che cinquecento anni dopo la costruzione di Palazzo Te a Mantova un'orda colorata di indiani avrebbe invaso tutta la zona tra il palazzo e lo stadio. Singh Ravinder non ha ancora preso la cittadinanza italiana ma ha un permesso di soggiorno illimitato e, tra una bancarella che vende lunghe sciarpe chiamate chunni e una nella quale si avvolgono turbanti sgargianti, mi presenta Singh Balraj, il portavoce della comunità mantovana dei Sikh.

Balraj mi spiega che questa è la più importante festa religiosa dello Sikhismo, fondato 547 anni fa da Guru Nanak Dev Ji, e nel calendario sikh coincide con il primo raccolto dell'anno. Mentre parla, attorno a noi sfilano famiglie numerose, con donne dai foulard d'organza rosso cinabro, oro, azzurro e l'abito chiamato salva kameez della tradizione Punjabi. Uomini con tuniche cremisi, bianche, nere si salutano toccandosi reciprocamente cuore e piedi. Un vigile urbano al mio fianco dice che arriveranno più di cinquemila sikh da tutta Italia con auto, pullman e camper. D'accordo, le donne hanno i capelli lunghi, neri, gli uomini sfoggiano turbanti gialli, arancioni, azzurri, verdi. Li vediamo tutti questi nuovi cittadini italiani. Ma chi sono?

Qualcuno li guarda storto «perché ci confondono coi talebani, ma siamo molto diversi» dicono. Il colore dei loro turbanti dipende dal sentimento che si vuole manifestare ma ha a che fare soprattutto con il proprio senso estetico.Un ragazzo dal turbante azzurro mi dice che oggi l'ha scelto così perché la camicia bianca che indossa ha rifiniture dello stesso colore. «In Italia» mi dice il portavoce «ci sono 170.000 indiani di cui il 61% costituito da uomini e il 39% da donne. Molti di noi lavorano nell'agricoltura e il resto nell'industria». Balraj ama sfoderare dati, ma io vorrei sapere altro e così lo lascio ai suoi impegni.

Fermo alcuni ragazzi tatuati e con l'orecchino e chiedo a loro: «Sikh significa colui che impara» mi dicono «e molti di noi si fanno crescere la barba proprio perché è un precetto religioso». Bisogna distinguere i praticanti dai credenti. Chi crede può fare quel che desidera, a proposito di estetica e stile di vita, ma chi si fa battezzare attraverso un rito eseguito davanti ai saggi, successivamente deve rispettare le 5 K, un equilibrio tra precetti di condotta e riconoscibilità estetica. L'obbligo di non tagliare più nessun pelo del corpo e raccogliere i capelli nel turbante, tenere con sé un bracciale di ferro, indossare il controverso kirpan, ossia il pugnale, sono tre dei segni che determinano la loro fede.

Un grosso camion Mercedes è stato addobbato con strass e bandoni colorati, il rimorchio aperto accoglierà i saggi e a breve tutti assieme faranno una specie di processione nella quale verranno declamati canti e preghiere tratte dal testo sacro. Nel volgere di niente un'organizzazione efficientissima ha fatto montare stands e zone ristoro che offrono gratuitamente macedonie di frutta, arance, banane, succhi a base di latte, cibi vegetariani, bibite. Nessun alcolico è ammesso. Davanti all'esedra di Palazzo Te stanno facendo le prove audio da un enorme palco sul quale saliranno sindaci, studiosi ed esponenti indiani.

Ho capito che tutti i sikh si chiamano Singh, se uomini, e Kaur se donne; nella lingua punjabi significano rispettivamente leone e leonessa. Un ragazzo dalla tunica nera e dal turbante rosso fuoco mi dice soddisfatto che guiderà il camion facendolo procedere lentamente per due chilometri. Sta bevendo una Coca cola e gli chiedo se posso fotografarlo. Acconsente ma vuole passare la bevanda all'amico. Mi sembra proprio bello il contrasto tra un abito tradizionale e una lattina di Coca. Poco lontano un signore ha montato un gazebo dal quale fa contratti internet illimitati grazie a una famosa compagnia telefonica. Il sindaco di Mantova si fa mettere il turbante arancione, una tv inglese chiamata Sikh channel sta riprendendo tutto: nuvole, passeggini, sorrisi, facce, scarpe abbandonate. Due sikh in moto fanno sventolare la bandiera dell'Unione Europea e quella della comunità sikh.

Rivedo mucche latte, mi dice di seguirlo. Arriviamo. I suoni di un tamburo enorme posto su un pick up decretano l'inizio della cerimonia. Un centinaio di donne eseguono canti liturgici e precedono il carro dei saggi spazzando energicamente la strada prima del suo passaggio. Dietro ai saggi un gruppo di uomini tiene un passo di marcia e ha le spade levate al cielo. Alcuni giovani col kirpan simulano un combattimento.

La città sembra sospesa in un tempo nel

quale aveva senso l'epica, il mito, il rito. Alcuni bambini stanno arrivando da una perpendicolare. Dietro a loro mamme e padri giovanissimi. Mi sembra di vivere in un dipinto di Pellizza da Volpedo, ma è solo suggestione.

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