Se anche un'associazione governista per definizione come la Confindustria va allo scontro frontale, forse dalle parti di Palazzo Chigi è arrivato il momento di farsi qualche domanda sulla manovra che è stata appena varata. Il capo degli industriali, Carlo Bonomi, ci ha messo poco ad abbandonare il tono conciliante e collaborativo che aveva assunto circa un mese fa dal palco dell'assemblea annuale di Federchimica, quando aveva detto di «apprezzare» la volontà di Giorgia Meloni «di confrontarsi con noi». Ad andare di traverso a Bonomi è stato in primis l'intervento sul cuneo fiscale, definito «non risolutivo» in un'intervista rilasciata a La Stampa. Gli industriali volevano un «intervento choc» da 16 miliardi di euro, da ripartire per due terzi a beneficio dei lavoratori e per un terzo alle imprese. Le risorse si sarebbero dovute trovare da una rimodulazione della spesa pubblica del «4 o 5%». Alla fine però si sono dovuti accontentare di un mini intervento da poco più di 4 miliardi, tutto nella busta paga dei lavoratori. All'uscita urticante di Bonomi ha replicato Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'Attuazione del programma e braccio destro della premier: «Sul taglio del cuneo ci sono 4,2 miliardi, più della metà di quanto era disponibile fuori dalle voci obbligate», ha osservato. «A questo si aggiungono grandi contributi per chi assume donne e giovani e 9 miliardi alla voce energia per le imprese. Mi sembra che le imprese possano essere soddisfatte». Bonomi, sebbene abbia apprezzato la volontà di «tenere la barra dritta sui conti», affonda il colpo sottolineando «la mancanza di visione sulla lotta alla povertà, come su occupabilità e produttività». E, infine, pone un altro tema: i 21 miliardi sul caro energia sono ritenuti sufficienti fino al 31 marzo, «ma il primo di aprile cosa ci aspetta?». La controbordata di Fazzolari, però, arriva anche su questo punto: «Non sappiamo che situazione avremo a marzo né quale sarà il prezzo dell'energia allora, né quali saranno le misure che l'Unione europea deciderà. Chiunque si mette oggi a fare un piano che copre tutto il 2023, non sta facendo una cosa seria».
Il governo ha senz'altro avuto poco tempo per scrivere la manovra e, di conseguenza, non è riuscito a trovare risorse da destinare a un intervento più profondo sul fisco. Ma nella coltre di prudenza di fatto è mancato anche il guizzo, il segnale necessario per incassare la fiducia del mondo delle imprese che ora è tutta da conquistare: «Ci aspettavamo di più, molto di più sul fronte della riduzione delle tasse per le imprese», ha dichiarato il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. «Questa legge di bilancio era l'occasione per avviare un processo di riforma fiscale in un'ottica di lungo periodo. Invece, ancora una volta, si è scelto di proseguire sulla strada di soluzioni non strutturali». Un po' più sfumata Confcommercio, che apprezza lo sforzo sul versante energia mentre è «da rivedere la riduzione delle agevolazioni per le accise» e «occorrerà fare di più per la riduzione del cuneo fiscale».
Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha detto che l'«impegno sulla riduzione del cuneo fiscale
e contributivo di cinque punti, è un impegno di legislatura». Il calo del potere d'acquisto, però, morde fin da subito e un peggioramento dell'economia potrebbe, in futuro, rendere ancor più stretti gli spazi di manovra.
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