Il governo mette a segno un altro punto: la Zes unica per il Mezzogiorno. Non più otto singole zone economiche speciali, come quelle istituite nel 2017, ma una sola. Concentrare le risorse, unire le forze per dare più occasioni di crescita al sud Italia ed evitare gli sprechi. Ieri, a Palazzo Chigi, riunione operativa. Al tavolo con il Presidente del Consiglio il ministro per gli Affari Europei, per le politiche di coesione, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto che segue in prima persona il progetto. Nella stanza damascata del palazzo, al fianco di Giorgia Meloni, i ministri competenti e i rappresentanti delle Amministrazioni centrali, dell'Anci, Upi e i presidenti delle Regioni del Mezzogiorno: Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo e Sardegna. Agevolazioni fiscali e semplificazioni burocratiche per tutti coloro i quali decideranno di investire nel progetto. Non più «assistenzialismo come nel passato», per usare le parole di Giorgia Meloni pronunciate durante la riunione a porte chiuse, ma opportunità di crescita. Vera, seria. Ci crede molto il Presidente del Consiglio, «è un progetto fondamentale per l'Italia, l'obiettivo è quello di garantire al Mezzogiorno la possibilità di competere ad armi pari. È parte di un modello di sviluppo fondato sulla competitività, sugli investimenti, sulla libertà di impresa e sulla valorizzazione del capitale umano». La Zes come unica occasione di crescita, a parlare sono i numeri. Le stime sono racchiuse nelle oltre 180 pagine del documento presentato ieri in conferenza stampa dallo stesso Raffaele Fitto. Solo per fare un esempio: se il numero delle imprese di medio-grande dimensione, già attive nelle zone economiche speciali, dovesse raddoppiare (oggi sono 200) il Pil dell'area potrebbe aumentare dello 0,7% con la creazione di circa 20 mila posti di lavoro. Mica pochi, soprattutto per il sud dove, si sa, il lavoro manca. La Zes unica «fa parte di una strategia più ampia, portata avanti dal governo per rilanciare lo sviluppo del Sud e della Nazione nel complesso e disegnare un percorso di crescita di lungo periodo» ha aggiunto Giorgia Meloni, che ha anche sottolineato come il progetto sia un «mattone in più che noi mettiamo per costruire quel nuovo modello di cooperazione, sviluppo e partneriato con l'Africa che è alla base del Piano Mattei, che identifica l'Italia come ponte tra il continente africano e l'Europa». Le filiere da rafforzare sono nove: agroindustria; turismo; elettronica; automotive; made in Italy di qualità, chimica e farmaceutica; navale e cantieristica; aerospazio e ferroviario. Inoltre, lo scopo è quello di promuovere il digitale, il cleantech e il biotech. Le polemiche, però, non sono mancate. Nei giorni scorsi ha fatto discutere lo scontro tra il ministro Raffaele Fitto ed Ernesto Maria Ruffini, direttore delle Agenzie delle Entrate. Al centro del dibattito i numeri sul credito di imposta da elargire alle imprese.
La norma prevede un'agevolazione fiscale per le aziende del 60 o il 70% ma, secondo i calcoli di Ruffini, i soldi stanziati dal governo (1,8 miliardi) non coprirebbero le richieste degli imprenditori e il credito di imposta effettivamente fruibile si fermerebbe solo al 17%. «Fake news - ha risposto il ministro - l'ammontare dell'agevolazione del credito d'imposta potrà essere definito solo una volta fatta chiarezza su quanti saranno gli investimenti effettivi».
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