Politicizzato o entusiasta, ecco i tipi da taxi

C’è un rituale, per quanto riguarda il tragitto in taxi, che inizia già dalla chiamata alla centrale: «Buongiorno, per cortesia... un taxi in via tal dei tali, e guardi, mi scusi ma ho 50 euro...». Non sono mai abbastanza le precauzioni che si prendono nel tentativo di assicurarsi una corsa decente, mai sufficienti le attenzioni atte ad ammansire l’autista che ci arriverà sotto casa. Ci si prova sempre perchè, e questo lo abbiamo capito a nostre spese, il buon taxi si vede dal mattino. Un autista respingente, un tragitto sgradevole, una guida a scatti saranno il biglietto da visita della nostra giornata: se la corsa andrà male, nove volte su dieci, andrà male anche tutto il resto. «Buongiorno, mi scusi, possiamo andare per cortesia in via Gaetano Negri al quattro... alla redazione del Giornale? Va bene anche se si ferma all’angolo con Santa Maria Segreta». Se dopo aver dato come punto di arrivo la redazione del Giornale, dall’abitacolo parte un indignato, sarcastico, sibillino «Ah...», sappiamo già che siamo difronte al taxista politicizzato. Uno che mette la prima indignato per via della testata «destrorsa» alla quale gli abbiamo chiesto di accompagnarci, ma che poi, al terzo semaforo, rivela che a dargli fastidio sono tutte, ma proprio tutte, le parti politiche, e tutti, ma proprio tutti, i politici in quanto tali: «Eh... quelli lì, massì... tanto sono tutti uguali, cosa crede lei?». In qualche modo, strada facendo si scioglie perché siamo italiani anche noi passeggeri e in fin dei conti, a suo vedere, condividiamo lo stesso triste destino. Chi non si riabilita, dalla partenza sino al traguardo, è invece il malmostoso, l’insofferente, il maleducato. Quello che sul sedile dietro ci fa sentire a nostro agio come sui carboni ardenti «Per cortesia, andiamo...», «Sì ma non urli perché ho mal di testa». Quello che per tutta la corsa ci fa sentire indesiderati, intrusi ospiti... paganti. L’imbarazzo impiega un istante a soffocare l’abitacolo angusto e ogni nostro tentativo di bonificare l’aria cade a vuoto: «Mi scusi, le dà fastidio se telefono?», «Mhhh...». «Certo che fa caldo oggi...», «Mhhh...». «Ha appena iniziato il turno o ha quasi finito?», «Mhhh...». Il tassista odioso scatena istinti perversi: un po’ io ti salverò, un po’ adesso ti dò fastidio io. Tutto l’opposto dell’entusiasta, che vorremmo soffocare con l’Arbre Magique ormai sbiadito che gli penzola dallo specchietto appena partiti. «Dove andiamo di bello? Che strada preferisce fare? Che fantastica giornata, va bene così l’aria condizionata o preferisce che la spenga? Gradisce una caramella, vuole che cambi stazione radio? Mi scusi se ho ascoltato la telefonata, ma davvero lei ha un figlio? Giovane com’è?! È stanca eh?». Sì, di sentirla parlare e il figlio l’ho fatto da vecchia e le caramelle mi fanno schifo e faccia un po’ la strada che le pare basta che taccia... Un po’ come quando si incrocia quello che ... faceva il manager: «Sì, mi sono messo a fare questo lavoro perché così il mio tempo me lo gestisco io, eh, ne ho viste quando stavo in azienda... Sempre in giacca e cravatta, a dar retta al padrone, perchè modestamente avevo anche un ruolo di rielievo, eh ne ho viste quando stavo in azienda... Lasciamo perdere va’». Arrivati, grazie: quant’è? Chi invece ascolteremmo per ore è il losco. Anche perché non parla con noi.

Prende frettolosamente l’indirizzo, si scusa in maniera altrettanto sbrigativa e poi, munito di auricolare, si rituffa in una misrteriosa telefonata che, sappiamo già, durerà almeno quanto il nostro tragitto. «Gli ho dato 15mila... Ma tu quando lo vedi? Dove vi incontrate? Sì, è meglio... Ok, dai, non al telefono. Poi scusa ho anche una cliente». Il buon taxi si vede dal mattino.

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