Pollini, prospettive romantiche tra Schumann e Chopin

Maurizio Pollini e Fryderyk Chopin. Il pensiero corre dritto dritto al Concorso di Varsavia che il pianista milanese, classe 1942, vinceva a soli 18 anni eseguendo quattro fra gli Studi più terribili del polacco, più il Primo Concerto. Il tipico programma di un «candidato al manicomio o alla vittoria», fu il commento. L'esito confermava la seconda tesi. In giuria sedeva il pianista leggenda Arthur Rubinstein che, assieme ad Alfred Cortot, è poi rimasto il punto di riferimento dello Chopin di Pollini.
Stasera (ore 21, al Teatro alla Scala, Pollini renderà omaggio a Chopin e a Robert Schumman, compositori-pianisti di cui quest'anno corrono i duecento anni dalla nascita. Per i festeggiamenti, la Scala ha così attratto a sé il gotha del pianismo internazionale, componendo un ciclo di recital con interpreti di prima grandezza, di fresca e più matura generazione, offrendo uno spaccato del pianismo contemporaneo. Dopo il primo concerto dell'uno febbraio con Krystian Zimerman - e Pollini in platea - seguiranno il recital di Daniel Barenboim il 28 maggio e Lang Lang il 20 giugno. Chiusura in settembre con il russo Evgenij Kissin e la Filarmonica scaligera. Per quest’oggi, Pollini offre un campione di Studi dall'op.25 di Chopin più due Notturni. In apertura di serata domina, invece, il Romanticismo febbrile di Kreisleriana e dell'op.14 di Schumann.
Pollini è un pianista di assoluto riferimento: in generale e in particolare per quanto il compositore polacco. «In Chopin il romanticismo si sposa alla perfezione formale, e la componente lirica convive con quella drammatica mentre l'intimità sfocia in grandi opere dal piano grandioso», spiega Pollini con il dono della sintesi proprio di chi - conoscendo la materia - va subito alla sostanza. Non è il pianista-personaggio, non proviene da aree geografiche esotiche e neppure ha strane storie personali da raccontare, un po' come accade a certi colleghi al centro dell'attenzione mediatica, nonostante l'assoluta normalità della loro arte. Pollini colpisce e continua a intrigare per l'elevatezza del suo pianismo che da anni ormai si guadagna attenzioni in genere non riservate al mondo della classica. I suoi album infatti non solo campeggiano nelle hit parade del settore, ma si stanno guadagnando anche l'inclusione nelle classifiche dei dischi pop.
Pollini è interprete a tutto campo. In confidenza con Schoenberg, Webern e Boulez per i quali sfodera l'inclinazione all'analisi che costituisce uno dei tratti peculiari del suo pianismo. Scavo analitico, cui immette un soffio lirico, quando affronta il tardo Ottocento di Brahms, ma anche le geometrie malinconiche e irrequiete di Schubert. Compositori che Pollini ama accostare in modo apparentemente provocatorio, ma al fine di spiegare le relazioni sotterranea che legano il Novecento, di cui è fiero paladino, al passato. Accostamenti che in questi anni il concertista ha fatto conoscere anche alla Scala, un teatro che - salvo le eccezioni del caso - esercita una sorta di esclusiva milanese dei recital di Pollini. Per trent'anni, fino al concerto di riconciliazione del settembre 2002, Pollini disertò infatti la sala acusticamente più vicina alle esigenze del pianoforte, cioè la Sala Verdi del Conservatorio.

Nel 1972 si era consumata una serata furibonda con il pianista intento a leggere un proclama pro-Vietnam, e la platea che travolse l'interprete con una pioggia di fischi. Cambiano i tempi. E l'interprete notoriamente schivo e riservato, inizia a concedere qualche intervista in più, pure in tv.

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