POMODORO Un artista e la sua collezione

La Fondazione Pomodoro, creata dallo scultore Arnaldo Pomodoro, prosegue la sua vivace attività. Nata nel 1995, e inizialmente aperta a Rozzano, si è poi spostata a Milano in via Solari nell’antica sede delle Officine Riva&Calzoni: uno spazio di circa 3.500 metri quadrati, interessante esempio di archeologia industriale, che è stato efficacemente ristrutturato da Pierluigi Cerri e Alessandro Colombo.
Mostre, premi, dibattiti, presentazioni di libri e altre iniziative si sono susseguiti in questi ultimi anni nella «Casa della scultura» creata da Arnaldo. L’ultima di queste iniziative è una mostra, a cura di Angela Vettese e Giorgio Verzotti, che rimarrà aperta da oggi al 9 marzo 2008 (catalogo Skira).
La rassegna comprende centoventi tra dipinti, sculture e disegni: si tratta di opere di Arnaldo Pomodoro stesso e di altri artisti provenienti dalla sua collezione personale. Entrambi i nuclei costituiranno la raccolta permanente della Fondazione.
Il percorso espositivo diventa così, per qualche aspetto, anche una biografia dello scultore, dei suoi incontri, dei suoi sodalizi, delle sue passioni intellettuali. Pomodoro infatti alla fine degli anni Cinquanta frequenta sia Lucio Fontana e il vitalissimo ambiente milanese del periodo, diventando amico di Baj e Dangelo, sia i principali astrattisti italiani, da Piero Dorazio a Tancredi e Novelli.
Si reca anche più volte all’estero, entrando in contatto con maestri internazionali come il francese Georges Mathieu e gli americani Louise Nevelson, Sam Francis, Mark Di Suvero, David Smith. Negli anni Sessanta si interessa di artisti anche molto diversi da lui, dai protagonisti della Pop Art romana Schifano e Angeli, agli esponenti dell’Arte Povera Paolini, Boetti, Kounellis, a concettuali come Isgrò, fino ad Aricò, Pardi, Mattiacci. E l’elenco potrebbe continuare.
La mostra, dunque, parte idealmente dalle Attese di Fontana del 1959 (uno dei «tagli» con cui l’artista voleva esplorare uno spazio che andasse oltre la tela, lasciandolo intuire più che vedere), e prosegue con opere degli autori che abbiamo citato, tra cui spicca un intenso arazzo di Boetti. E, ancora, documenta sculture di Arturo Martini, Ettore Colla, Mirko Basaldella, lavori di Man Ray, disegni di Léger, Miró, Licini, collages di Hans Richter, in una panoramica che sembrerebbe frammentaria se non si intravedesse, a far da collante al percorso espositivo, la curiosità del padrone di casa che, senza ideologie, compie viaggi e incursioni a tutto campo nei territori dell’arte. Si passa poi alle opere di Pomodoro stesso. E qui siamo di fronte alle sue scritture misteriose, incise nel bronzo e nell’acciaio. Fanno pensare, le sue sculture, a messaggi di Sibilla: responsi oracolari scritti non sulle foglie e dispersi nell’aria, ma ugualmente inafferrabili.

Quello di Pomodoro infatti è un linguaggio di cui non si conosce il significato, forse perché appartiene al popolo più sconosciuto che abbia abitato la terra: cioè a noi che siamo e resteremo un enigma. Prima di tutto per noi stessi.
La collezione permanente alla Fondazione Pomodoro fino al 9 marzo

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