Cè una battuta di Wystan H. Auden che è il perfetto ritratto della Sinistra italiana: «siamo tutti sulla Terra per aiutare gli altri; quello che non si capisce è cosa ci stanno a fare gli altri». A Sinistra in effetti avvertono l'esistenza degli altri come sospetta. Specialmente quando «gli altri» hanno il difetto di «inceppare» il bel funzionamento della democrazia pretendendo di dire la loro e perfino di votare come loro aggrada. In tal caso la democrazia mostra (al Progressista) il suo volto ingrato e «reazionario».
Ce n'è stata una divertente conferma anche in queste ore. L'Unità ha «dovuto» cancellare frettolosamente le primarie online perché, se ho ben capito, Mastella (sgradito ai Ds e a Prodi) stava prendendo troppi voti. Un vero guastafeste.
Queste primarie virtuali erano state lanciate con grande clamore - «vota il tuo candidato» - per far vincere Prodi con un plebiscito. Volevano essere un'esibizione di trasparenza e di democrazia, la prova generale delle primarie dell'autunno prossimo, grande palestra di partecipazione per far scegliere agli elettori il leader che i gerarchi dell'Unione hanno già scelto (un po' come nella splendida democrazia cubana). Finché gli elettori (di Mastella?) non si sono messi in testa di gareggiare sul serio. A quel punto si è dovuta annullare la partita (online) mentre era in corso, per non rendere pubblici dei risultati scomodi o comunque imprevisti. Un comico autogol.
Votare era facile. Sul sito dell'Unità si trovavano i nomi di coloro che hanno preannunciato di voler correre per le primarie autunnali: Romano Prodi, Fausto Bertinotti, Alfonso Pecoraro Scanio e Clemente Mastella. Per giorni si è potuto cliccare, col mouse del computer, sul nome prescelto. Finché, di colpo, è sparito tutto. Senza spiegazioni (come quando in Urss un gerarca cadeva in disgrazia e la sua immagine si volatilizzava pure dalle vecchie foto). Mastella ha domandato sarcasticamente che fine aveva fatto il voto online dell'Unità. E allora il direttore dell'Unità, Padellaro, ha dovuto arrampicarsi sugli specchi: «Il sondaggio è stato sospeso quando l'Unità online è stata improvvisamente investita da un'alluvione sospetta di consensi-fotocopia (ovvero utenti che votano per decine e decine di volte la stessa persona) a favore di un candidato premier di cui non faremo il nome».
Che buffa spiegazione. E perché non dire il nome misterioso? È Mastella? I voti online sono tutti uguali. Perché mai quelli a Mastella sarebbero sospetti e quelli a Prodi no? E che vuol dire consensi-fotocopia? Il sistema tecnologico dell'Unità non permetteva di votare più di una volta (chi ci provava veniva avvertito che il suo secondo voto non era stato registrato). Dunque l'alibi di Padellaro non convince granché. Il capo dell'Udeur ha lamentato: «Non siamo mai stati sostenitori delle primarie... (ma) concordiamo con chi le chiede vere, serie e popolari». Mastella ha sferrato infine un colpo mortale (sia pure sbagliando il congiuntivo, è pur sempre Mastella): «Non vorremmo che i sondaggi siano buoni, e quindi pubblicizzabili quando rispondono alle attese di chi li promuove e vengano invece nascosti se danno indicazioni diverse da quelle sperate».
È il problema di sempre. Che si è evidenziato anche dopo il referendum del 12 giugno. Cosa fa la Sinistra quando il popolo degli elettori non le accorda fiducia e anzi le rovescia addosso una disfatta? Cerca di capire dove ha sbagliato? Fa una dura autocritica? Riconosce i propri errori? Neanche per idea: in genere da Sinistra saltano sempre fuori quelli che accusano la plebe di non aver capito niente o di non avere senso civico o di intrupparsi con «cattive compagnie» o di essere ingenua e manipolata. Infine si dà la colpa a qualche forza esterna di aver falsato il risultato.
Lo ha scritto ieri una personalità insospettabile, Antonio Polito, che fa il direttore di un foglio di sinistra: «Ogni volta che la Sinistra perde una partita, tende sempre a prendersela con le condizioni del terreno di gioco (troppa tv, poca laicità), invece che con se stessa. Allo stesso modo giudicò la vittoria di Berlusconi come un'usurpazione che solo il ripristino di condizioni di legalità, affidato ai giudici-arbitro, poteva riscattare; così ora chiede all'arbitro Ciampi di riscattare la sconfitta al referendum. Questo atteggiamento denuncia allo stesso tempo arroganza e debolezza intellettuale. Le ragioni dell'avversario non meritano mai la vittoria, dunque non è necessario sottoporre a giudizio critico le proprie».
Nel caso del referendum le cose sono andate proprio così. Polito infatti stava commentando sul Riformista certi titoli di giornale dopo l'incontro fra il Papa e Ciampi, specialmente questo: «Ciampi riscatta l'Italia del sì».
«Riscatta». Come se fosse stato fatto un torto alla legalità da quel 75 per cento di elettori. La leale ammissione di Polito è tanto più significativa in quanto il suo giornale è stato fra i più scatenati nella campagna per il «sì». In effetti anche dopo questa disfatta referendaria ci è toccato di leggere commentatori che - invece di fare autocritica - volevano trascinare gli italiani sul banco degli accusati.
C'è stato addirittura chi - per «spiegare» quel 75 per cento di italiani - ha chiamato in causa i ragazzi del Parini che nell'ottobre scorso allagarono la scuola. Sandro Magister dell'Espresso ha definito ironicamente questa tesi «un colpo di genio». E ha riportato le parole di un «cervello forte» che è arrivato a dire: «Questi allagatori dal cervello debole sono proprio quel tipo di giovani che i nostri vescovi vogliono. I valori forti, dogmatici, per affermarsi devono allearsi con l'indifferenza, con gli allagatori del Parini ad esempio. Altrimenti da soli non ce la fanno. È questa in fondo la vera massa di manovra».
Io non so che tendenze politiche abbiano gli studenti del Parini, in genere nelle scuole domina un certo conformismo sinistrorso, tuttavia mi guardo bene dal costruirci sopra una teoria. A certi intellettuali bisognerebbe ricordare almeno Pasolini, il Pasolini dell'omologazione, il Pasolini che mostrava quanto fossero antropologicamente uguali tutti i giovani, di qualsiasi tendenza. Ma Pasolini è stato del tutto rimosso.
E oggi ci troviamo una Sinistra confusionaria e «arrogante» (come dice Polito) che qua e là ritrova certi suoi antichi tic, come quello di «sfiduciare» gli elettori. E così rischia di ripetere - ma in forma farsesca, comica - ciò che la Storia aveva già vissuto come tragedia, secondo l'assunto di Marx. Mi viene in mente il Brecht degli anni Cinquanta. Il 17 giugno 1953 gli operai della Ddr (la Germania comunista) scesero in piazza contro il regime del compagno Ulbricht, chiedendo condizioni di lavoro più umane e libere elezioni. Nel pomeriggio di quello stesso giorno i carri armati dei «fratelli» sovietici intervennero schiacciando la protesta operaia: fecero naturalmente morti e feriti.
Bertolt Brecht - amareggiato e sarcastico - raccontò in versi quella tragedia prendendo di mira il «segretario dell'Unione degli scrittori» sui cui volantini si leggeva che, con quelle proteste, «il popolo/ si era giocata la fiducia del governo/ e la poteva riconquistare soltanto/ raddoppiando il lavoro».
Ecco la strada: sfiduciare il popolo, quando non funziona come la Nomenklatura desidera, ed eleggerne un altro.
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