La potenza di Del Piombo valorizzata soltanto a metà

La "Pietà" e la "Flagellazione" esposte assieme sono meravigliose. Ma l'allestimento per niente

«Visitsicilly». Chi è il cretino (molto seguito in quasi tutte le Regioni e i comuni d'Italia) che ha introdotto questa formula tronca «visit» per invitare turisti e viaggiatori in Sicilia? Che non è Sicily. Una parola sola per umiliarne due, su internet, in televisione. Visitsicily! Non si può sopportare.

E il 25 dicembre? Mezzi musei d' Italia chiusi, nel giorno in cui è certo che l'italiano può visitare mostre e musei. Allora ho chiesto che fossero aperti il giorno di capodanno e magari gratis.

Già troppe prenotazioni (al Mart di Rovereto, per esempio). E allora ho strappato gratuito il giorno della Befana. Un regalo a chi sente la maestà dell'arte. Un museo chiuso, dopo tanto inferno, in un giorno di festa, è una inutile punizione.

Ma anche un museo aperto può esserlo, se per tanti anni hai cercato di vedere opere insigni, e di prima grandezza, convenientemente esposte come non sono state per decenni certamente, e forse mai.

Mi riferisco al dimidiato Museo civico di Viterbo, oggi riaperto negli ambienti a terreno del palazzo comunale per esibire soltanto due opere, in verità fra i capolavori assoluti del primo Cinquecento: la Flagellazione e la Pietà di Sebastiano del Piombo. «VisitViterbo»!

Lungamente mortificati nell'affastellato allestimento nel chiostro e negli ambienti del convento di Santa Maria della Verità, prigionieri nelle pinze del Minissi, l'architetto che trasformò gli spazi nel 1954-55, i due dipinti, grandi tavole con disegni attribuiti generosamente a Michelangelo sul retro, erano umiliati e rovesciati nella loro composizione teatrale in anguste strettoie con pessime illuminazioni. Una museografia ospedaliera, senza amore e rispetto. Eppure la Pietà è uno dei grandi «notturni» della Storia dell'Arte, con un pathos e una intensità che non temono il confronto con Raffaello e con Michelangelo, e con una suggestione che non ha l'eguale in tutta la pittura del Cinquecento. Concepito tra 1512 e 1516, è forse il più bel quadro del suo tempo, paragonabile soltanto alla di poco successiva Deposizione di Pontormo in Santa Felicita a Firenze.

Due soggetti simili, di due personalità opposte, e forse Sebastiano con una sobrietà e un rigore inattingibili. C'è nevrosi, c'è turbamento in Pontormo. Dolore, soltanto dolore, in una notte fredda, in Sebastiano. Entrambi diversamente mossi da Michelangelo. Ma è Vasari a favorire l'equivoco: «se bene fu con molta diligenza finito da Sebastiano che vi fece un paese tenebroso molto lodato, l'invenzione però et il cartone fu di Michelagnolo». Vasari non considera altrettanto grande Sebastiano del Piombo, e lo riduce a un esecutore che si limitò a finire «con molta diligenza» un'invenzione del maestro. Io credo il contrario: la forza del dipinto è nella sua «stimmung», nell'atmosfera notturna che è del pittore, dello scenografo, come si era dimostrato Sebastiano nella incomparabile Dorotea di Berlino, dal cielo tempestoso. Pittore d'atmosfera, mentre i pensieri di quegli anni di Michelangelo erano ben altri, per il monumento a Giulio II e il Mosè. Tutti per la scultura.

L'equivoco del Vasari continua nel Lanzi: «Può sospettarsi che fosse aiutato nell'invenzione; sapendosi che Sebastiano non avea da natura sortita prontezza d'idee, e che in composizioni di più figure era lento, irrisoluto, facile a prometter, difficile a cominciare, difficilissimo a compiere». Evidentemente cieco davanti alla Pietà. Ma è proprio l'incomprensione di una attitudine diversa, in Sebastiano, da quella del pittore o dello scultore: un regista, un direttore delle luci, un uomo di teatro, con una sintesi drammatica senza precedenti. La madonna ha una solenne, romantica, solitudine.

La Pietà era destinata alla chiesa di San Francesco di Viterbo. Commissionata da Giovanni Botonti, chierico di camera, la pala, di evidente potenza, garantì all'artista grande notorietà, accendendo il pensiero di una lusinghiera, benché inesistente, collaborazione con Michelangelo. Al Buonarroti Vasari riferisce sia l'invenzione, sia l'esecuzione di un cartone preparatorio, mai rintracciato. Del volto della Vergine, invece, si conoscono due preliminari a sanguigna, di Sebastiano, quelli nel retro della tavola. Recentemente è stato accertato l'intervento esclusivo di Sebastiano del Piombo nella mirabile figura del Cristo morto (Alessi 2008; Johannides-Wivel 2017); e al pittore va ricondotto, anche nella testimonianza di Vasari, come abbiamo visto, il paesaggio notturno. Quindi? La concezione teatrale è palese nel dipinto, certamente il capolavoro di Sebastiano, semplice, severo e quasi arcaico, dove si mette in scena «la solitudine senza speranza che separa la Madre impietrita e il Figlio morto, ed entrambi da un Dio Padre addirittura nullificato dall'audacissima idea di prolungare oltre il momento evangelico della morte sulla croce le tenebre sul mondo» (Rosci).

Non meno teatrale la Flagellazione, certamente tenuta come un banco di prova dal Caravaggio per la sua in San Domenico a Napoli.

Due capolavori di due tempi distinti, che hanno trovato conveniente spazio in Palazzo dei Priori, nel cosiddetto Museo dei Portici, ricavato al piano terra, con ampie volte, del cinquecentesco palazzo comunale.

Ma perché entrambi, di epoche e umori diversi, nella stessa stanza, incrociati, di traverso, senza profondità e prospettiva (soprattutto la Pietà), invece che in due stanze distinte?

E perché, all'entrata, la più tarda, la Flagellazione, tagliata dalla porta che ne inquadra solo la parte inferiore? E perché la Pietà pressoché al buio, con il paesaggio invisibile, la luce fioca e mal distribuita? Perché?

E perché quelle scatole, che non sono climabox, con i vetri (non vetri) opachi? E, in basso, la traccia visibile dei corpi illuminanti? Quante dannose imperfezioni per una luce insufficiente e mal direzionata! Non si vede la luna, non si vede il tanto evocato paesaggio, in cui è stata perfino riconosciuta una veduta degli impianti termali romani di Santa Maria in Silice, nei pressi del Bulicame di Viterbo. Quale che sia, il paesaggio non c'è. Non sappiamo se Sebastiano abbia visto le terme; noi certamente no.

Perché buttare via una occasione dopo anni di attesa? Mi aveva chiamato il sindaco per consigli. Poi sparito. A chiedere, la risposta è rassegnata: volontà, ordine, decisione della Soprintendenza. Con quali argomenti, con quali motivazioni, con quale autorità? E perché a danno della città e di Sebastiano?

Perché' mortificare, perché non far vedere, perché affastellare?

La Pieta grida, ma lì, dove è, il dolore assoluto sembra uno starnuto. E la notte della morte, una triste tenda scura.

L' autorità è nella qualità di quello che fai, non in quello che sei, con la divisa del poliziotto dell'arte.

Altro chiedeva Sebastiano. Altro chiede Viterbo.

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