Un paio di settimane fa, a Cortina, nel corso di un dibattito sui «vizi» di noi italiani, il corrispondente del prestigioso settimanale americano Time ha detto che «lItalia è un Paese che gioca per il pareggio». Lì per lì mè sembrato uno dei soliti giudizi un po spocchiosetti con i quali il mondo anglosassone vuol rimarcare la propria superiorità e la nostra subalternità, diciamo il nostro ruolo di colonia o peggio ancora di repubblica delle banane. Sciocchezze per replicare alle quali sarebbe sufficiente ricordare che loro, gli Imperatori, non hanno neppure il bidet.
Ieri e ieri laltro, però, sui giornali è stata data con grande risalto una notizia che dimostra che certe battute come quella del corrispondente di Time, effettivamente, ce le andiamo a cercare. La vicenda, grottesca, è in sintesi questa. LInvalsi, il nostro istituto nazionale di valutazione dellapprendimento scolastico, ha fatto fare un test a un amplissimo campione di studenti di terza media. Alla fine è risultato che i ragazzi più preparati erano quelli del Sud. Allora lInvalsi ha corretto i risultati dei test per far primeggiare i ragazzi del Nord. Lassessore alla pubblica istruzione della Regione Campania e non solo lui, in verità ha gridato al broglio, allo scandalo, al razzismo, allinerte accodarsi del nostro ministero alle scalmane di Bossi.
Senonché andiamo avanti sperando che il lettore non abbia perso il filo è risultato che la Lega, e la politica in generale, non centrano nulla. LInvalsi ha ri-corretto i risultati dei test per il semplice motivo che i ragazzi del Sud avevano copiato, e copiato con la benedizione anzi, con la fattiva collaborazione dei loro insegnanti. Come ha spiegato molto bene su La Stampa di ieri Luca Ricolfi, che della materia è un esperto, la «correzione» di risultati di test e sondaggi non è uneccezione ma la norma; ci sono sofisticati sistemi matematico-statistici che permettono di scoprire ad esempio se un intervistato mente, o risponde a caso; così come permettono di capire, nel caso di test di valutazione, se chi ha risposto ha copiato o ha avuto un aiutino determinante.
Ma, a spazzare via ogni dubbio, è venuta poi la confessione collettiva dei prof delle medie del Sud: sì, è vero, abbiamo aiutato i ragazzi e li abbiamo fatti copiare. E perché? Naturalmente si sono invocati i nobili ideali e la scopiazzatura è stata classificata come diritto per se stessi e per gli alunni. Sul Corriere della sera di ieri, ad esempio, la professoressa Venere Anzaldi, docente di matematica a Palermo e sindacalista dei Cobas, ha detto di «giustificare» il taroccamento dei test e di considerarlo una specie di autodifesa contro limmancabile «degrado» della scuola pubblica, specie al Sud.
«Nobili» motivazioni a parte, la verità è che qui non siamo neanche nella classica storia italiana di imbroglietti e raccomandazioni, trucchetti e furbate. Siamo, appunto, in quel «giocare per il pareggio» di cui parlava il collega americano. È piuttosto evidente, infatti, il vero motivo per il quale molti professori hanno deliberatamente fatto copiare i ragazzi. Il test dellInvalsi non serve solo per valutare quanto hanno appreso gli alunni; indirettamente, è anche un test per valutare quanto e come hanno insegnato gli insegnanti. Facendo fare bella figura ai ragazzi, insomma, i prof fanno anchessi bella figura, e acquistano crediti per la scuola e soprattutto per sé, per le proprie graduatorie, i propri scatti in avanti e così via.
La vicenda dei test Invalsi rientra dunque a pieno titolo nella tradizione italiana per la quale, come diceva Andreotti, «tutto saccomoda». Ma rientra pure (e anzi soprattutto) in quel nostro costume che prevede una sorta di più o meno tacita complicità fra soggetti che giocano in campi diversi ma che sono accomunati dallo stesso obiettivo: sfangarla. Il prof che aiuta lo studente a barare ha laggravante di diseducare i giovani: ma per il resto non è molto diverso dal finto malato che trova pace nella propria coscienza pensando ai colleghi essi pure finti malati.
È lItalia, o meglio una parte (purtroppo radicata) dellItalia.
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