«Pragmatismo e capacità di mediazione al posto delle ambiguità democristiane»

«Anche gli Usa stanno prendendo coscienza che il nostro ruolo nel mondo è cambiato»

da Milano

Professor Parsi, lei insegna Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. Ritiene che tra mediazioni e accordi, dalla Georgia alla Libia, ci sia un'Italia più autorevole sulla scena internazionale?
«Sicuramente è un'Italia nuova che sta prendendo maggior coscienza del proprio ruolo in politica estera e ha finalmente abbandonato l'ambiguità democristiana dei tempi andati».
La leadership di Berlusconi ha giocato, secondo lei, un peso importante in questo cambiamento di passo?
«Le mosse di Berlusconi stanno dimostrando che chi lo dipingeva come una figura che sarebbe stata marginale e improbabile nel consesso internazionale era decisamente fuori strada. Alla luce dei fatti, le liquiderei come critiche risibili».
L'accordo con Gheddafi per esempio...
«Un obbiettivo centrato che si traduce in un successo perché da quest'intesa non potranno che derivare vantaggi per le imprese italiane. L'Italia con Berlusconi ha finalmente avuto il coraggio di chiedere scusa e di riconoscere i torti e i danni inflitti ai libici. Di solito noi italiani siamo bravissimi a chiedere scusa quanto non ci costa niente. E siamo altrettanto bravi a criticare i colonialismi degli altri, finché Berlusconi, con il pragmatismo che lo contraddistingue, è arrivato e ha chiesto il conto: “Abbiamo fatto danni e torti? Non solo vi chiediamo scusa perché abbiamo sbagliato ma ecco, qui ci sono i soldi per riparare”. Non è cosa dopo poco azzerare un contenzioso simile e avere il coraggio di guardare avanti».
Spostiamoci in Georgia, Berlusconi sostiene di aver scongiurato una nuova Guerra fredda...
«Da studioso e osservatore della scena internazionale non mi identifico acriticamente nella posizione del governo italiano, ma mi pare innegabile riconoscere all'Italia la capacità, in questa circostanza, di aver saputo mettere a disposizione degli altri partner europei la proprie informazioni e le proprie conoscenze per giungere a una soluzione della crisi maturata in seguito alla rivolta in Abkhazia e in Ossezia del Sud».
Ne deriverà un cambiamento di rapporti con la Russia?
«Se vogliamo interpretare un ruolo di mediazione nel tentativo di raffreddare la tensione dobbiamo fare in modo che la Russia non si percepisca ancora più isolata di quanto sia, né che commetta l'errore di considerarsi più forte di quanto sia in realtà. Le riserve che esprimevo poc'anzi si riferiscono al fatto che quando sono in gioco i principi di autodeterminazione dei popoli e di rispetto dei confini non possiamo tenere un atteggiamento differente tra Kosovo, e le due regioni georgiane. Detto questo, Berlusconi ha cambiato ruolo rispetto al velleitarismo andreottiano di quell'Italia che, calandosi nel ruolo del solista, pretendeva sempre di avere la soluzione pronta. Lui, al contrario, si è messo a disposizione per l'elaborazione di una soluzione comune».
Nuovi rapporti in vista anche con gli Usa?
«In America stiamo vivendo il cambiamento di una leadership e nel contempo il passaggio dall'unilateralismo imperfetto di Clinton e Bush a un multipolarismo asimmetrico. Questo impone che le crisi vadano gestite con maggior equilibrio e che gli Usa si abituino a vedere l'Italia non sempre schierata acriticamente dalla loro parte. Se l'Italia prenderà consapevolezza di questo nuovo ruolo all'interno della Ue, sono convinto che gli Stati Uniti comprenderanno. Anche perché, oggi più che mai, Washington ha bisogno dei suoi alleati europei».


Italia come interlocutore privilegiato d'ora in poi?
«Direi un'Italia che dovrà lavorare con sempre maggior determinazione alla ricerca di soluzioni comuni perché fra vent'anni, mi auguro, si arriverà a una politica estera comune dei Paesi europei. Siamo una media potenza, dobbiamo restare con i piedi per terra e lavorare bene per il bene comune. Come dire: possiamo guardare il cielo, ma consapevoli che non possiamo volare».

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