Caro direttore, le scrivo in merito allintervista «Costretto a rifugiarmi in Vaticano perché aiutavo i malati di tumore», pubblicata domenica 1° luglio. Sono stupito - confesso - per i toni usati nel «pezzo» che tratta il caso di una terapia che non ha superato i test richiesti e non ha ottenuto la necessaria autorizzazione in nessun Paese per poter essere utilizzata con risultati concreti di terapia. Mettere a disposizione dei pazienti un nuovo medicinale richiede anni di studi e ricerche, regolati da rigorosissime norma e linee guida internazionali messe a punto dalle autorità sanitarie di tutto il mondo. Solo dopo numerose prove condotte in laboratorio e sugli animali, Università e Centri di Ricerca certificati possono sperimentare il farmaco sulluomo attraverso diverse fasi e sempre con il consenso dei pazienti coinvolti. Ma, anche quando è in commercio, il medicinale è oggetto di unintensa attività di controllo per continuare ad assicurare un favorevole rapporto beneficio-rischio. Un processo lungo e costoso per le imprese che, in diversi casi, può sfiorare il miliardo di euro e quasi sempre supera i dieci anni di studi. Le semplificazioni contenute nellintervista rischiano perciò di indurre aspettative non realistiche e alimentare il mito di una medicina miracolistica che sfugge al sapere scientifico. Gli imprenditori, i manager e i ricercatori delle imprese del farmaco sanno invece quale rigore e quanta cautela siano necessari in tema di ricerca e di salute. Sono certo che il Giornale saprà fornire uninformazione completa per evitare il rischio di diffondere, su patologie così serie come quelle tumorali, speranze non fondate. Grato per la sempre cortese attenzione, la saluto con viva cordialità.
Presidente Farmindustria
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Gentile Presidente, Giuseppe Zora è un docente universitario e un oncologo.
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