Roma - Una sforbiciatina piccola piccola ai parlamentari, il rafforzamento dei poteri del premier, la divisione dei compiti tra Camera e Senato, la sfiducia costruttiva, la possibilità del presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento anticipato. E, con la «valorizzazione degli interessi delle Regioni», ci sono persino «elementi di federalismo». Forse è ancora poco per parlare di rivoluzione, sicuramente è abbastanza come base per provare a cambiare lo Stato.
E anche dal punto di vista politico il segnale è forte: parte dunque la stagione delle riforme condivise? La strada è ancora lunga. La bozza, che è stata scritta dagli esperti dei partito della maggioranza - Luciano Violante del Pd, Gaetano Quagliariello del Pdl, Ferdinando Adornato dell’Udc, Pino Pisicchio dell’Api e Italo Bocchino di Fli - e che prevede il rifacimento di due articoli della Costituzione, dovrà adesso essere adottata dai leader di centrodestra, centrosinistra e terzo polo e presentata alla Camere sotto forma di disegno di legge costituzionale.
Il castello della nuova Italia si regge su tre architravi fondamentali. Il primo è quello della «forte rappresentanza», che prevede un riduzione del venti per cento numero dei parlamentari. I deputati saranno quindi 508, otto dei quali della circoscrizione estera. «La ripartizione - si legge nel testo - si effettua dividendo per 500 il numero degli abitanti e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti». I senatori saranno invece 204, quattro provenienti dall’estero. A Palazzo Madama la Val d’Aosta avrà un rappresentante e il Molise due, tutte le altre regioni almeno cinque. Largo ai giovani, cambia pure l’articolo 58 della Costituzione: basteranno 21 anni per essere eletti a Montecitorio e 35 per il Senato.
Il secondo pilastro della riforma si chiama «forte Parlamento» e prevede una semplificazione del procedimento legislativo. La novità sta nel superamento teorico del bicameralismo perfetto, con la ripartizione delle competenze secondo l’articolo 117 della Carta. I tecnici lo hanno definito, in maniera un po’ bizantina, «federalismo eventuale». I disegni di legge verranno assegnati «con decisione insindacabile» a una delle due rappresentanze, d’intesa tra i due presidenti: la Camera si occuperà prevalentemente delle questioni che riguardano lo Stato, il Senato si dedicherà ai problemi regionali. Infatti a Palazzo Madama si insedierà una speciale commissione paritetica per le questioni regionali. L’organismo sarà composto dai presidenti delle assemblee rappresentative delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché da un uguale numero di senatori «che rispecchi la proporzione dei membri dell’assemblea» e dovrà dare parere obbligatorio sui disegni di legge che riguardano le materie di cui dovrà occuparsi il Senato.
Ci sono poi dei provvedimenti specifici per accelerare l’iter delle leggi. Ad esempio, basta con i rimpalli infiniti, i testi presentati a una delle Camere subiranno una sola lettura: l’altro ramo parlamentare manterrà la prerogativa di poter «richiamare» il provvedimento per un sua valutazione, ma solo dietro un’esplicita richiesta del suo presidente e con l’obbligo di licenziarlo entro 15 giorni. E i regolamenti stabiliranno i «procedimenti abbreviati» per i disegni per i quali viene decretata l’urgenza.
Il terzo cardine, il «forte governo», si occupa del ruolo del presidente del Consiglio. La bozza prevede un rafforzamento di Palazzo Chigi e dei suoi poteri.
Per la fiducia al premier è sufficiente la maggioranza semplice, per la sfiducia (solo costruttiva, cioè con l’indicazione di una nuova maggioranza e di un nuovo capo del governo) servirà invece la maggioranza assoluta. Infine, la grande svolta: il presidente del Consiglio potrà chiedere al capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento delle Camere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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