Il premier in tribunale: «Solo tempo perso su accuse fantasiose»

MilanoScoppia uno dei palloncioni azzurri che galleggiano nell’aria davanti al palazzo di giustizia di Milano. C’è scritto: «Silvio resisti» su quei palloni extra large che il popolo dei gazebo ha tenuto tra le dita per cinque ore.
Ed ecco che ora, proprio ora che Silvio attacca a parlare, proprio ora che davanti alla sua gente, davanti ai suoi leali supporter, il premier dà la stura ai suoi sentimenti e alle sue emozioni, dopo una mattina trascorsa in tribunale, è come se quello scoppio liberatorio sottolineasse maggiormente la sua voglia di sfogarsi.
Così quando, alle 12.47, il presidente del Consiglio afferra il microfono che gli porgono dal palchetto, allestito dai militanti in via Freguglia, dice ad alta voce esattamente quelle cose che probabilmente avrebbe voluto urlare in aula: «Voglio dirvi una parola soltanto, sono commosso da questa vostra partecipazione. Secondo i dati che mi hanno fornito, è l’udienza numero 2.565 nei processi in cui sono stato chiamato. Sapete che in trentun processi sono stato assolto. Ce ne sono ancora sei. Stamane ho ascoltato dei testi. Ne vengo via con un’impressione abbastanza drammatica. Ho passato una mattinata surreale ai limiti dell’inverosimile, è stata una perdita di tempo paradossale con un dispendio di risorse generali che grida vendetta. Tutto basato sul nulla perché non c’è una prova, non c’è un documento e una testimonianza di un passaggio di denaro a sostegno delle tesi del pubblico ministero che sono solo frutto della sua fantasia».
Il boato delle centinaia di supporter che si accalcano dietro le transenne, lo obbliga a una prima pausa. Poi il Cavaliere deciso a spiegare i fatti e a raccontare la verità riprende: «Vi dico in sintesi, perché le cose si possono ricondurre a fatti semplici. L’accusa è che io sono il socio nascosto di un’azienda che vendeva diritti televisivi a Mediaset. Questa azienda, si è appurato, ha pagato al capo ufficio acquisti di Mediaset 21 milioni di cresta per farseli comperare. Allora, io sarei stato così stupido da pagare la metà di 21 milioni al capo ufficio acquisti della mia azienda a cui avrei potuto fare una telefonata per dirgli di comprare?». Visibilmente amareggiato, ma in grande spolvero, Berlusconi si chiede: «Qual è l’imprenditore così folle, così matto che può tenere a capo dell’ufficio acquisti della sua azienda un corrotto che acquista diritti per l’azienda e si fa pagare una provvigione, una cresta, a danno della sua azienda? Tutto questo vi dice come siano incredibili queste accuse, questi processi che sono solo processi mediatici che si fanno solo per gettare fango su chi ostacola il ritorno della sinistra al potere». Questa volta a esplodere sono gli applausi del popolo del Pdl che fin dalle 8 di mattina ieri aveva cominciato ad assieparsi attorno al tribunale con bandiere, cartelli inneggianti al premier e soprattutto tanta, tanta voglia di sostenerlo a gran voce con slogan e canti. Che non hanno mancato di attirare l’attenzione degli «inquilini» di palazzo di giustizia, cancellieri, avvocati e giudici che più volte si sono affacciati sorpresi e incuriositi a guardare quell’insolito spettacolo di straordinaria solidarietà. Anche se il presidente del tribunale, Livia Pomodoro, e il presidente della Corte d’appello Giuseppe Tarantola non hanno gradito le manifestazioni che in una lettera a tutti i colleghi hanno definito «fastidiose» annunciando che chiederanno l’intervento delle autorità per «evitare disagi a chi frequenta quotidianamente palazzo di giustizia».
Ma quello di Berlusconi, giusto sotto la «tana del lupo» è un crescendo: «Il premier è chiamato come imputato per gettare fango su di lui, sul governo, sul Paese in un momento in cui deve essere il più forte possibile per difendere gli interessi del Paese nel mondo. Questi magistrati non lavorano per il Paese, lavorano contro il Paese. Grazie a voi per la fiducia che mi date e che vi assicuro mi merito totalmente». Dieci minuti scarsi sotto un sole estivo e cocente. Dieci minuti per sfogarsi, come se si trovasse in famiglia. In mezzo a una grande famiglia pronta e disponibile a stemperargli il malumore e le amarezze di «una giornata surreale», appunto. Una giornata talmente surreale anche fuori dall’aula del processo Mediaset, che ha visto «l’aggressivo» e «pericoloso», popolo del Pdl non solo radunarsi con intenti visibilmente bellicosi, tradottisi nell’intonare l’inno di Mameli e nel cantare «Meno male che Silvio c’è», ma, addirittura, distribuire panini e acqua minerale, a volontà, a più di ottocento persone. Senza chiedere a nessuno dei tanti affamati e assetati per chi avesse votato alle scorse politiche. Dietro l’angolo, in corso XXII Marzo, bofonchianti, i quattro gatti, fidatevi, davvero tali, dei supporter Idv. Snobbati da telecamere e giornalisti. «Non li vogliamo i vostri panini, teneteveli!» è l’insulto più duro che sono riusciti a pronunciare.

Peccato, davvero un peccato che non li abbiano voluti. Perché l’ancora piacente signora Maria Teresa, mia vicina di transenna, salita dalla Sicilia apposta per vedere Silvio («Che bello, meglio che in tv!») mi ha bisbigliato all’orecchio «che la mortadella era squisita».

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