Pressioni sulla Consulta, il giudice si dimette e accusa Palazzo Chigi

La Corte costituzionale prende atto dell'addio del giudice che respinge le pesanti insinuazioni sulla "strana tempistica"

Pressioni sulla Consulta, il giudice si dimette e accusa Palazzo Chigi

Roma - In un Paese in cui le dimissioni si minacciano molto e si presentano poco, Romano Vaccarella va fino in fondo. Le sue dalla Corte costituzionale sono irrevocabili, comunica al presidente Franco Bile. E lo fa con una lettera durissima, in cui si leva dei sassolini dalla scarpa. La Consulta non può che prenderne atto all’unanimità, ribadendo in extremis il richiamo al governo per le tentate ingerenze e riaffermando la sua indipendenza «garantita dalla collegialità del suo operare». Le «generiche e rituali dichiarazioni» fatte il 29 aprile da Romano Prodi, afferma Vaccarella, non smentiscono affatto le affermazioni di membri del suo governo, che hanno parlato di una Consulta «disponibile» verso le ragioni della politica e orientata per la bocciatura del referendun elettorale. Il giudice costituzionale risponde per le rime a premier, ministri e parlamentari dell’Unione che hanno strumentalizzato le sue dimissioni, parlando di «complotto».

Avvocato civilista e ordinario di diritto processuale civile, 65 anni, è entrato alla Consulta nel 2002 su indicazione di Fi e per questo sulla sua scelta sono state avanzate ipotesi oscure, legandola a presunte manovre del leader azzurro Silvio Berlusconi per usare contro il governo il referendum elettorale. Tutto questo, scrive Vaccarella nella sua lettera d’addio, ha molto pesato sulla decisione di confermare le dimissioni di protesta e di ribadire il suo j’accuse verso il Palazzo. Prima di fare quello che forse nessuno si aspettava ha fatto passare un giorno dalla delibera dell’Alta Corte che respingeva le dimissioni all’unanimità e richiamava l’esecutivo al rispetto dei ruoli, evitando ingerenze.

Un documento, sottolinea il giudice, in cui si condividevano le preoccupazioni del giudice per le «gravissime» dichiarazioni (dei ministri Chiti, Mastella e Pecoraro Scanio e del sottosegretario Naccarato), che «consentono e incoraggiano » le interferenze politiche. Per questo e non per altro Vaccarella ha voluto dimettersi, anche se questomotivo sembra «inconcepibile» in Italia: «a tutela di un Organo costituzionale e della propria dignità personale» e nella «speranza che questa vicenda giovi alla Corte». Il giudice critica la mancata smentita dei ministri interessati e il «silenzio» delle istituzioni. E rivela di aver presentato la sua lettera a Bile e al vicepresidente Giovanni Maria Flick già il 28 aprile, 2 giorni dopo l’articolo del Corriere della Sera con le famose dichiarazioni, maben prima che il fatto fosse pubblico, il 30. La dichiarazione di Prodi è solo del 29: sperava che Vaccarella si ricredesse senza tanto clamore. Invece, quelle parole, ripetute anche il giorno dopo, per il giudice erano inadeguate.

Un passo in più, redarguendo i suoi ministri «chiacchieroni», il premier lo ha fatto solo ieri. Troppo tardi. Soprattutto, dopo altre pesanti dichiarazioni.

Vaccarella cita la frase del premier sulla «strana tempistica» delle dimissioni; quella del ministro Antonio Di Pietro che lo ha paragonato ad un calciatore che simula «un fallo inesistente », e anche il «delicato» invito del Guardasigilli Clemente Mastella ad andare fino in fondo e lasciare davvero la Corte. Abbastanza per confermare la sua idea che in questa Corte, con questo governo, non poteva restare.

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