La prevalenza dello stupido come intellettuale di corte

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo uno stralcio del saggio di Riccardo Moreno Castillo, Breve trattato sulla stupidità umana.

C'è chi si chiede se il numero di idioti sia maggiore ora che in altre epoche del passato. Così sembra, in effetti, ma è una percezione ingannevole. In realtà, gli idioti sono stati schiacciante maggioranza da che mondo è mondo. Quello che succede è che gli stupidi ora hanno più mezzi e più tempo libero per portare a compimento le porcherie proprie della loro natura. Semplicemente, la stupidità è più sovvenzionata che mai. Chiunque potrebbe scrivere un Dizionario spagnolo-andaluso o una Grammatica del linguaggio non sessista con la quasi totale sicurezza che ci sarà una qualche istituzione o organismo che ne finanzi la pubblicazione.

Le idee pioniere sul femminismo provengono da persone intelligenti, ma poi le hanno fatte proprie altre persone che non lo erano tanto, dando luogo a spettacoli deplorevoli come entrare in una cappella gridando (cosa che né ha fatto avanzare la causa femminista e nemmeno le ha dato prestigio) o a scempiaggini come la preoccupazione per il linguaggio politicamente corretto. Chi si impegna a dire «hanno votato gli iscritti e le iscritte» o «i catalani e le catalane siamo stanchi e stanche» ignora che ci sono parole neutre che grammaticalmente funzionano come femminile, e nessuno si scandalizza se sono usate anche quando si riferiscono esclusivamente a esseri di sesso maschile. Diciamo: «C'erano varie persone in costume», anche se fra loro non figurava alcuna donna, o: «che splendida creatura!», sebbene sia un bambino, o ancora «la vittima è morta nell'atto» anche se tale vittima è un uomo, o «le iene sono necrofaghe» riferendosi alla specie e non al sesso. Risulterebbe alquanto banale dire: «le iene sono necrofaghe e necrofagi». D'altronde ci sono parole che senza essere femminili terminano in «a» e a nessuno viene in mente di usare una «o» se si riferiscono a un uomo. Diciamo «la podista e il podista» e non «la podista e il podisto» (e inoltre suonerebbe brutto dire «la pediatra e il pediatro»). Questo tipo di fesserie non solo consumano molte energie in discussioni assurde su come bisogna dire le cose perché nessuno si senta escluso né ferito (negli ultimi tempi si considera molto elegante avere la pelle estremamente delicata e offendersi per tutto), ma anche sviano l'attenzione dai problemi più urgenti e screditano il movimento femminista. Curiosamente, i politici più attenti che parlano di «affiliati e affiliate» non si fanno problema a dire (con tutta la ragione del mondo, inoltre) che «i corrotti devono andare in carcere» e nessuno di chi ascolta capisce che le donne corrotte non debbano pagare lo stesso per i loro reati. Non c'è bisogno di dire «i corrotti e le corrotte devono andare in galera» perché tutti capiscano. Parimenti, è sufficiente dire che «bisogna punire i ladri» o che «si devono perseguire gli assassini» perché si comprenda senza necessità di ulteriori spiegazioni che c'è anche bisogno di punire le ladre e perseguire le assassine. E quando si sente dire che «in questo mondo non c'è spazio per un altro stupido», nessuno pensa che a una stupida si potrebbe fare spazio se ci si stringesse un po'. Perché quando un aggettivo designa qualcosa di peggiorativo si accetta che il maschile svolga il suo aspetto di neutro senza necessità di usare la forma femminile?

Questa ossessione di non incorrere in un linguaggio politicamente scorretto, una delle evidenze più lampanti della stupidità umana, sta dando origine ad autentiche farneticazioni. C'è chi, per ragioni incomprensibili, considera offensive le parole «moro» o «cieco». Lungo tutta la nostra letteratura i mori sono stati chiamati mori, anche quando si parlava di loro con ammirazione, cosa che succede frequentemente (il fenomeno della morofilia è stato già molto studiato dagli storici della nostra letteratura), e non si comprende perché ora lo si debba considerare un termine dispregiativo. Per quel che riguarda la parola «cieco», si pensa ora che è più corretto sostituirla con «non vedente» (sebbene ultimamente sembra che ci si stia perfezionando e si parla di «persona con deficit visivo» o di «persone con disabilità visive», che suona molto bene). Non c'è ragione per questo. La parola «non vedente» è brutta, inizia già con una particella negativa, al contrario «cieco» è una parola molto più bella con, in aggiunta, interessanti risonanze letterarie: parliamo di «romances de ciego», e suonerebbe un po' nebuloso dire «romanzi di non vedenti» (per non dire «romanzi di persone con disabilità visive»). Una delle assurdità più recenti di questo genere, consiste nel dire «portavocia», qualcosa di così assurdo come se nell'esercito si parlasse della «portastendarda» per riferirsi alla donna che porta la bandiera. Stendardo è una parola maschile, qualunque sia il sesso di chi lo porta, e allo stesso modo «voce» è una parola femminile il cui plurale è «voci» e non «vocie», e il carattere femminile della parola non si altera quando il portavoce è un uomo (sarebbe mortale dire i «portavoci»). Tali idiozie sarebbero divertenti se non fosse che dimostrano l'indigenza intellettuale di chi le difende, e se chi le difende è qualcuno con responsabilità politiche, la cosa è estremamente allarmante e molto lontana dall'essere divertente. Non sarebbe consigliabile che ai parlamentari si richiedesse, come requisito prima di essere proclamati eletti, un certificato di studi primari?

Altra idea accertata è quella per cui si devono proteggere le specie animali e vegetali in pericolo di estinzione. Ora, se abbiamo obbligo di farlo è per un dovere verso i nostri simili, comproprietari con noi del nostro patrimonio zoologico e botanico della Terra, così come tutti siamo comproprietari del nostro patrimonio artistico. Ma quando questa idea, in sé buona, entra nelle teste meno dotate di quelle in cui è nata, diventa il contrario: l'obbligo di salvaguardare le specie vive è verso le specie vive che hanno diritto a essere salvaguardate. Quanti così pensano sembrano dimenticare che se parliamo di diritto, il diritto alla vita dei carnivori può essere esercitato solo divorando erbivori, mentre il diritto alla vita degli erbivori può essere esercitato solo non lasciandosi divorare dai carnivori. Come può risolversi questo conflitto alla luce della giurisprudenza? Dimenticano anche che i carnivori uccidono i piccoli delle varie specie se li trovano, per sopprimere così future competenze, che i predatori si rubano le prede a vicenda senza vergogna, a volte nella stessa specie, e che i maschi combattono per le femmine senza concedere loro il diritto di decisione su un argomento che così direttamente le riguarda. Propriamente, il diritto è uno strumento creato dall'uomo per poter vivere senza rubarci il cibo né divorarci gli uni gli altri. Dimenticano anche che proteggere le linci vuol dire condannare a morte tutti gli esseri viventi di cui questi felini si nutrono, che è impossibile proteggere una specie senza aggredirne un'altra, e che con gli stessi diritti con cui proteggiamo le linci e le farfalle ammazziamo i topi e gli scarafaggi. E quando si prova a ragionare con queste persone, allora si dichiarano «animalisti». Per molti di loro la natura è un tutt'uno nel quale l'uomo è un animale in più, senza rendersi conto che se così fosse sarebbe giustificabile che gli uomini si comportassero come predatori senza la minima preoccupazione della sopravvivenza delle specie, così come fanno tutti gli altri animali. Se vogliamo conservare gli esseri viventi che rendono splendido il nostro pianeta dobbiamo prenderci cura razionalmente dell'ambiente, il che vuol esattamente dire smetterla di comportarci da animali. Ma è inutile. Si è proclamato «animalista», ha trasformato un obbligo che riguarda tutti noi nell'essenza che lo definisce, e ogni tentativo di dialogare è inconcludente.

Sebbene possa sembrare incredibile, anche la celebre raccomandazione di Orazio: abbi il coraggio di conoscere! (che l'Illuminismo ha preso come motto e che in linea di principio non dovrebbe arrecare danno a nessuno) può essere letale nelle mani di uno stupido. Perché se è certo che è bene criticare e mettere in discussione presunte verità che ci sono giunte come inamovibili e indiscutibili, lo è anche che questa critica dev'essere razionale e accompagnata da alternative ragionevoli su quello che si analizza. La critica non controllata dalla conoscenza non è propria delle persone illuminate, ma dei fanatici e dei ciarlatani. Una persona saggia che difende la repubblica dinanzi alla monarchia lo fa con ragioni e argomenti lungamente pensati e meditati. Un ciarlatano, invece, dimostra la propria preferenza per la repubblica bruciando in pubblico una foto del re o insultandolo apertamente, azioni che solitamente non sono precedute da una riflessione pacata.

E forse il secondo crede, nella sua stoltezza, di stare sotto lo stesso vessillo del primo, e che entrambi difendano la stessa cosa. Ma in verità non stanno difendendo lo stesso ideale, perché il divario tra illuminati e ciarlatani è molto più insormontabile di quello che può esserci tra partigiani della monarchia e della repubblica.

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