«La previdenza complementare è a rischio»

«Temo che le parti sociali cerchino di passare il cerino acceso nelle mani di altri, con il pericolo che si spenga e che i fondi non partano»

Antonio Signorini

da Roma

Il rilancio della previdenza complementare con le quote del Trattamento di fine rapporto potrebbe fallire per colpa di uno «scaricabarile» tra le parti interessate. Banche, imprese e sindacati dovrebbero invece impegnarsi e fare proposte, approfittando della disponibilità del governo a modificare il decreto. L’appello è del viceministro dell’Economia Mario Baldassarri che rilancia la sua alternativa al conferimento del Tfr ai fondi pensione: la cessione del credito. In sintesi: il Tfr rimane alle imprese, le banche acquistano il credito del lavoratore e anticipano la somma ai fondi pensione.
I sindacati stanno preparando una loro proposta e il ministro del Welfare Roberto Maroni è disponibile a modificare il provvedimento. Lei è ottimista?
«La disponibilità del governo e il fatto che Maroni abbia convocato le parti sociali il 27 sono cose positive. Io però temo che le parti sociali cerchino di passare il cerino acceso nelle mani di un altro con il rischio che si spenga e che alla fine i fondi pensione non partano. Io mi chiedo se siano consapevoli di qual è la posta in gioco. Perché non fanno proposte?».
Lei pensa che industriali e banche stiano cercando di insabbiare la riforma?
«Il rischio è che venga annacquata o ritardata. Però bisogna fare attenzione perché sull’altro piatto della bilancia non c’è un costo zero. Se non decolleranno i fondi per i lavoratori rimarrà l’incertezza sulla pensione futura, per le imprese significherà rinunciare a un magnifico volano di sviluppo e le banche resteranno fuori da un business importante».
Lei ha parlato di problemi di copertura per le compensazioni alle imprese, di problemi costituzionali per l’esclusione del pubblico impiego e poi ha proposto la cessione del credito. Pensa ancora che sia la soluzione?
«È l’uovo di Colombo. E poi di fronte ai due problemi che ho segnalato, compensazioni e pubblico impiego, non si può chiudere gli occhi e aggirare l’ostacolo con escamotage di tipo tecnico e contabile».
Maroni ha escluso problemi di copertura e la Ragioneria dello Stato ha «bollinato» il progetto. Come è possibile?
«Se si prevede che solo metà dei lavoratori aderiranno si può pensare che alla fine la somma da coprire sarà ragionevole. Ma questo è un giochetto numerico, per la semplice ragione che i flussi sono annuali e non ci si può limitare al primo anno. Potenzialmente nel giro di cinque anni le quote di Tfr trasferite potrebbero arrivare a 100 miliardi di euro. Quindi, se tutti aderissero e se le differenza tra il tasso concesso dalle banche e quello del Tfr fosse di un solo punto e mezzo, già bisognerebbe coprire 1,5 miliardi di euro, se fosse di tre punti, come ora, si dovrebbero trovare tre miliardi».
Tutti a carico dello Stato?
«A meno che le banche non se ne vogliano fare carico garantendo un meccanismo di credito generalizzato. Però non so quanto l’automatismo sia compatibile con la riforma del credito, Basilea due, visto che esclude il merito».
Lei ha spiegato che con la cessione del credito le imprese non dovrebbero rinunciare al Tfr, i lavoratori potrebbero contare sulla previdenza integrativa e le banche acquisterebbero un credito a rischio zero. Come mai fino ad oggi la sua proposta non è mai stata citata dalle parti sociali?
«Bisognerebbe chiederlo a sindacati, imprenditori e banche. Forse da parte delle banche c’è la speranza che lo Stato alla fine si farà carico di tutti i costi».


Ha illustrato la sua proposta alle banche?
«Ne ho discusso con tre o quattro banche estere e italiane che hanno mostrato interesse e si sono dette pronte a mettere i loro staff al lavoro».
Qual è la banca italiana?
«Un importante gruppo di Roma. È stata la prima ma non l’unica banca a intuire l’importanza della questione Tfr».

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