Federico Guiglia
Ma dov'è finito lo «spirito delle primarie»? Che ne è della rivendicata autonomia dai partiti con cui Romano Prodi ha voluto consacrare la sua guida dellUnione? A giudicare dalle prime mosse del presidente del Consiglio, questa singolarità, la singolarità di un leader battezzato dai cittadini prima ancora che dalla sua coalizione, sè annacquata. Anzi, sè d'incanto evaporata: basta vedere il primo e importantissimo atto di governo che è proprio la composizione del governo, e che ha ricalcato la fotografia politica del centrosinistra partito per partito; né più né meno come avveniva in precedenza con gli esecutivi al bilancino della prima Repubblica. Persino la scelta dei vicepresidenti - rispettivamente gli uomini simbolo dei Ds e della Margherita - va nella rigorosa direzione dellaffermazione partitica. Meglio ancora: del primo e del secondo partito della maggioranza. Nulla di male e tutto molto scontato, ma è lesatto contrario dei propositi tanto a lungo coltivati e annunciati, è lopposto del progetto dellUlivo come superamento e sintesi delle attuali forze politiche. Del resto, le stesse tre più alte cariche dello Stato volute e votate dalla sola maggioranza, riflettono logiche e storie di partito che più partito non si può. E due di loro, i presidenti del Senato e della Camera, rispecchiano pure lorgogliosa diversità della propria parte politica rispetto allipotesi del tanto evocato partitone ulivista. Dunque, né luno per tutti né il tutti per uno: ciascuno conserva e riafferma la sua identità.
Anche la rapidità con cui i ministri sono stati «proposti» dal presidente del Consiglio e «nominati» dal presidente della Repubblica (articolo 92 della Costituzione), conferma che lequilibrio partitico trovato è stato perfetto. Viceversa, quante volte, in passato, sassisteva ai tira e molla dellultimo minuto, perché questa o quella formazione politica - e persino corrente di partito - si consideravano penalizzate nellattribuzione dei dicasteri. Stavolta è filato tutto liscio. Ma ciò paradossalmente testimonia che il presidente del Consiglio ha rinunciato a far valere fino in fondo proprio le sue prerogative costituzionali. Per esempio inserendo degli esterni alle logiche di parte e di partito. Non sarebbe stato, tra laltro, neppure così difficile, visto che già cera il precedente del governo uscente, nel quale le personalità «senza casacca» erano almeno cinque. In un certo senso lo «spirito delle primarie», che avrebbe dovuto anche significare la valorizzazione della tanto declamata ma sempre dimenticata «società civile», anziché della nomenklatura partitica, è stato più rispettato dagli avversari di ieri che non dai suoi teoreti di oggi.
Né si può sostenere che lintervento di Prodi in Parlamento sia uscito dai binari partitici della coalizione o non abbia riproposto il solito rito dei capi dellesecutivo sempre attenti a dare riconoscimenti e assicurazioni a questo e a quel partito della sua coalizione. Discorsi rivolti alla classe politica più che alla Nazione, parole per le orecchie dei parlamentari chiamati a dare la fiducia, più che per quelle degli italiani elettori (e protagonisti delle primarie).
Tutto ciò lascia prefigurare che lagognato Partito democratico avrà tempi lunghi, e non solo difficili. Ammesso che, di fatto, non sia stato sepolto senza sepoltura.
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