Primarie Usa al bivio: Obama costringe la Clinton all’angolo

Barack trionfa in North Carolina, Hillary prevale solo di stretta misura nell’Indiana. Ma lei non ascolta chi le chiede di gettare la spugna

da Washington

La prima decisione che Hillary Clinton ha dovuto prendere subito dopo l’esito del voto in North Carolina e in Indiana è stata di riaprire la borsetta. Ritirar fuori il libretto degli assegni e spiccarsene un altro, beneficiaria la sua campagna elettorale. È così da alcune quasi un mese, al ritmo di un milione e mezzo di dollari la settimana. Non sono donazioni, ma prestiti, in attesa che in qualche modo si riapra il rubinetto dei finanziamenti. Le elezioni di martedì lo rendono ancora più arduo. È vero che la Clinton e Obama si sono spartiti una volta di più i titoli delle vittorie, l’Indiana a lei, la North Carolina a lui. Però la North Carolina è stata una «valanga», 57% contro 43%, mentre l’Indiana è stato un arrivo sul filo di lana, 51 a 49. Totale «pratico», Barack ha ulteriormente aumentato il suo vantaggio in termini di delegati (oltre che di voti, avendone ottenuti in totale 200mila di più). Adesso il conteggio è chiaro e quasi completo. Sono andati alle urne 50 fra Stati e Territori su 56. Sono stati eletti 3.400 delegati su 3.600, si sono espressi una buona metà dei 400 «superdelegati» non eletti. Il «numero magico», quello che farà scattare la nomination per la Casa Bianca è 2.025. Compresi i «superdelegati» che si sono già espressi, Obama ne ha 1.876, la Clinton 1.729. A lui ne mancano 149, a lei 296. Si voterà ancora sei volte: West Virginia, Kentucky, South Dakota, Montana, Oregon e Portorico, totale dei delegati in palio 217. Neanche se li prendesse tutti la Clinton arriverebbe al traguardo. Quasi sicuramente se li divideranno come hanno fatto finora, inclusi North Carolina e Indiana, e nessuno dei due attingerà al numero magico, ma a Obama ne mancheranno poche decine. Tutto dipenderà dai «superdelegati» e nessuno seriamente pensa che essi decideranno in modo opposto agli elettori.
È il momento per Hillary di tirare i remi in barca? Glielo consigliano in molti, compresi amici politici e sostenitori di rilievo, ultimo finora George McGovern, già candidato alla Casa Bianca e per decenni senatore. Si era dichiarato per Hillary, ieri ha annunciato che gli dispiace molto, ma «nell’interesse del partito e del Paese» ora passa con Obama.
Obama non canta vittoria, ma comincia a comportarsi come se la gara fosse finita. Pronunciando la notte scorsa a Raleigh, in North Carolina, il tradizionale discorsetto della vittoria, ha avuto la buona grazia di congratularsi, prima, con la Clinton per il suo successo in Indiana, che in quel momento era tutt’altro che certo. Invece di contrapporre i due risultati, li ha sommati: «Abbiamo visto che è possibile superare le politiche di divisione e di distrazione, mettere fine ai soliti vecchi attacchi personali». Ha parlato, insomma, come se la stagione delle primarie fosse chiusa e fosse già cominciata invece la campagna elettorale vera, quella contro McCain e i repubblicani.
Non è certo che Hillary la pensi così. Non ha mandato finora alcun segnale in tal senso, se non forse la sospensione delle apparizioni in pubblico per buona parte della giornata di ieri. Ma subito dopo non solo ha ribadito la sua volontà di tirare avanti: ha anche annunciato di essere lanciata «verso la vittoria a tutto gas».
Ma la strada che Hillary intende percorrere sembra molto pericolosa. Perché è vero che la Clinton ha ancora una carta da giocare, ma è così «esplosiva» che un politologo l’ha già definita «l’opzione nucleare», l’«arma assoluta» con cui conquistare il Partito democratico oppure distruggerlo. E ci sono le avvisaglie che Hillary, non si sa se d’accordo o meno con Bill, sia disposta a giocarla. Ciò è implicito nell’introduzione da parte sua di quelli che lei stessa chiama i «nuovi numeri». Secondo lei per avere la nomination non bastano quei 2.025 delegati: ce ne vogliono 200 di più, un totale che non è a portata di mano di Obama. I nuovi numeri vengono da una vecchia diatriba: le primarie in Florida e nel Michigan, definite illegali dal Partito democratico parecchio prima del loro svolgimento perché non rispettavano le date prefissate. Si è votato lo stesso, gli altri candidati hanno girato al largo, Hillary ha vinto in Florida e ha fatto il pieno nel Michigan dove il suo era l’unico nome sulla scheda.

Adesso pretende di reintegrare quegli Stati e quei delegati. È difficile che ci riesca, ma l’esclusione potrebbe spingere i milioni di elettori del Michigan e della Florida a protestare votando in novembre per il candidato repubblicano.

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