Le prime parole nella notte: «Chi ha vinto lo scudetto?»

da Oristano

Evidentemente Titti si era risentito di non aver potuto neanche parlare di calcio durante la sua prigionia. Perché le prime parole della libertà sono state dedicate proprio al campionato più bello del mondo: «Chi ha vinto lo scudetto?» ha domandato ai suoi soccorritori.
Senza notizie dal mondo da più di otto mesi, rinchiuso e legato in chissà quale buca, l'allevatore si è detto contento della vittoria dell’Inter e, ovviamente, della salvezza al cardiopalmo del Cagliari. In questo interminabile incubo, pare che Titti non abbia mai chiacchierato con i suoi rapitori: nessun rapporto, nessuna confidenza, anche minima, con chi lo aveva privato della sua vita. Fatto strano questo, visto che nella dinamica di un sequestro ci sta anche che l'ostaggio instauri una certa relazione con chi lo sorveglia notte e giorno. «Comunque mi hanno trattato bene e li ho già perdonati», ha detto quasi commosso in un impeto di felicità. «Sono libero, venite a prendermi»: con queste parole ieri mattina colui il quale tutti davano per morto o, nella migliore delle ipotesi, fuggito in Romania, è tornato a respirare, a muoversi, a sorridere.
La chiamata è arrivata a poca distanza dal luogo della prigionia, un ovile nelle campagne dell'Oristanese, e dall'altra parte della cornetta c'era la sorella, forse la sola con gli altri familiari che in tutto questo tempo non aveva perso la speranza di riabbracciarlo. I primi a vederlo però sono stati gli operai di una cava di Sedilo. «Sembrava il conte di Montecristo» ha commentato a caldo uno di loro, impressionato dalla folta barba lunga e dalle condizioni del suo abbigliamento, probabilmente gli stessi indumenti che indossava da quel 19 settembre. Quando è arrivato in ospedale, a Nuoro, è stato accolto da un applauso e dai sorrisi di medici e infermieri.

Uno dei primi a trovarlo è stato il sindaco della città, Mario Demuru Zidda, al quale l'allevatore ha voluto porgere il suo ringraziamento per la solidarietà manifestata e in particolare alla famiglia di Nirpaul Matharu, il giovane di 15 anni morto di incidente nel novembre del 2006 nella città barbaricina. Per tutta la durata dell'incontro Pinna ha tenuto stretta la mano del sindaco, e non a caso: «In tutti questi mesi di prigionia una delle cose che mi è più mancata è stato il contatto umano».

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