«Processate la signora Dini per bancarotta»

L’accusa contesta la falsità dei bilanci dal 1994 al 2000. Dichiarazioni non vere anche sugli immobili. La prima udienza il 25 gennaio

Gianluigi Nuzzi

Soldi volutamente distratti dalle casse societarie e utilizzati a titolo personale: finisce sotto processo per bancarotta fraudolenta Donatella Pasquali Zingone, moglie dell’ex primo ministro Lamberto Dini (leggi la precisazione degli avvocati Cataldo D'Andria e Fabio Viglione). Uscita a Lucca dal processo che la vedeva imputata per corruzione, ora si apre una nuova partita giudiziaria nella capitale. Al centro della vicenda la gestione dei bilanci ovvero dei quattrini della Sidema srl, società dai molteplici interessi tra l’Italia e il Costarica, finita in bancarotta fraudolenta con un crac di 40 miliardi di vecchie lire. Un esito che segue il fallimento della Sidema, dichiarato dal Tribunale di Roma il 13 marzo 2002. Il gup Orlando Villoni, dopo aver letto le memorie difensive della Dini e dell’ex amministratore delegato Italo Mari, ha ritenuto le prove raccolte dai pm, Paolo Auriemma e Giuseppe Cascini, meritevoli del vaglio processuale. Il processo sarà quindi celebrato il 25 gennaio dalla decima sezione del Tribunale della capitale. Sul futuro giudiziario della moglie di «Lambertow» va preso in considerazione il patteggiamento a due anni di reclusione scelto da Enrico Pozzo, ex amministratore del gruppo.
Si tratterà ora di focalizzare il ruolo della Dini. Per l’accusa era il «dominus» del gruppo Zeta, che aveva sede nel centro storico dell’Urbe, a due passi da piazza San Lorenzo in Lucina. Dal canto suo, la moglie dell’ex primo ministro ha sempre sostenuto di non ricoprire ruoli nemmeno di fatto. I primi atti di indagine vennero raccolti dalla procura di Lucca che, indagando con un’ipotesi di corruzione, si era imbattuta nell’allegra contabilità della Sidema. L’accusa ora contesta la falsità dei bilanci dal 1994 al 2000. Negli ultimi due sarebbero stati esposti nell’attivo dello stato patrimoniale una posta del patrimonio netto denominata «Fondo riserva su partecipazione» per un valore di tre miliardi e 400 milioni di lire corrispondente al controllo totale della società Innovation, acquisita per 300 milioni di lire e mai pagata. Un’altra contestazione riguarda le note integrative al bilancio 1999 quando si sostenne «falsamente» che l’area di proprietà della società partecipata era «in procinto di essere concessionata dal comune di Castelnuovo di Porto».
Inoltre nell’attivo patrimoniale del 2000, compaiono immobilizzazioni materiali da 11 miliardi di lire, con una rivalutazione di 6,8 miliardi «priva di giustificazione». La Guardia di Finanza riteneva la situazione finanziaria irreversibile con un progressivo drenaggio delle risorse, compiuto volontariamente sia dagli amministratori formali, sia appunto dalla Dini. Un fiume di denaro che ha svuotato giorno dopo giorno le casse della società. Sarà ora interessante conoscere, rivolo per rivolo, come sono stati distratti 40 miliardi di vecchie lire e di quali erogazioni pubbliche, eventualmente, ha potuto beneficiare la Sidema. Da parte sua Donatella Pasquali Zingone Dini mostra o ostenta ottimismo da sempre. Davanti al Pm disse che l’inchiesta era «una bolla di sapone».

Oggi fa sapere di essere «serena, estranea ai fatti contestatile e fiduciosa». Evidentemente ritiene di poter giocare una difesa ben più forte di quella che ha portato al patteggiamento a due anni dell’ex amministratore.
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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