Il Professore si fa un partito promettendo nomine

È sicuro di vincere le elezioni, recluta fedelissimi per i posti che contano, progetta un suo personale sistema di potere. Tagliando fuori anche i Ds

Antonio Signorini

da Roma

I Ds ora difendono Romano Prodi. Dicono che quella che si è consumata venerdì all’assemblea della Margherita è stata una mossa di Francesco Rutelli e degli ex Dc per spingere ai margini il professore o, addirittura, per mettere in discussione la leadership della coalizione. In realtà le gatte da pelare per il Botteghino non arrivano tanto dagli «autonomisti» di Democrazia è libertà. Negli ultimi tempi lo sguardo preoccupato di Piero Fassino si è posato più di una volta proprio sul Professore. Perché se è vero che il «sì» convinto alla lista unica e l’ostentata assenza dalle vicende della Margherita fanno di Prodi il naturale alleato dei Ds, agli osservatori più attenti della sinistra appare sempre più evidente che l’ex presidente della Commissione europea sta attuando un disegno tutto suo in vista della seconda scalata a Palazzo Chigi. Un piano dal quale i partiti della coalizione, Ds inclusi, hanno solo da perdere.
Sta cercando di costruire «un suo personale sistema di potere», come ha scritto ieri sul Riformista Emanuele Macaluso. Ancora impossibile definire il gioco di Prodi nella sua interezza. Troppo presto per individuare le pedine e per prevedere cosa sarà l’Italia tra un anno, quando si andrà a votare. Ma un assaggio di cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi (e in caso di vittoria della sinistra anche nei prossimi anni) lo ha dato la vicenda della Rai. Quando si è trattato di rinnovare i vertici di Viale Mazzini, il leader dell’Unione ha cercato di far prevalere una sua linea molto diversa da quella di Rutelli, e questa non è una novità, ma anche da quella della Quercia. All’inizio ha cercato di premere sugli alleati per rendere nullo il voto sul consiglio di amministrazione della televisione di Stato. La tesi ufficiale era che prima delle nomine del consiglio serviva un’intesa sul direttore generale e sul presidente, ma molti a sinistra hanno visto nella mossa del leader un modo per bloccare Ds e Margherita che volevano avere propri referenti dentro l’azienda. Ora che il Cda è stato nominato, Prodi si è concentrato sulle due cariche di vertice. Suo lo stop alle trattative di martedì scorso quando, mentre era già in viaggio per la Cina, ha fatto sapere di essere in contatto con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e di continuare a puntare su due «figure di garanzia» per la presidenza e la direzione generale della televisione pubblica. Un modo per bloccare la principale candidatura alla presidenza della Rai che resta quella di Claudio Petruccioli, esponente liberal dei Ds. Un «segnale inquietante», ha scritto il Riformista. Nei giorni scorsi anche Sandro Curzi, nominato nel consiglio della Rai in quota Rifondazione comunista, ha criticato l’atteggiamento di Prodi. Margherita e Ds tacciono, ma tanto attivismo preoccupa anche i principali partiti dell’Unione.
La ragione è sempre la stessa e cioè il timore che Prodi voglia giocare a proprio favore tutte le nomine, ignorando lo spoil system all’italiana che ha come protagonisti assoluti i partiti politici. Cominciano, ad esempio, a circolare i nomi di giornalisti che potrebbero occupare ruoli di rilievo nella Rai prodizzata. Ad esempio quelli di Giovanni Minoli e Piero Badaloni, ex presidente della regione Lazio e attualmente corrispondente del Tg3 da Berlino. L’ex consulente di Prodi ed ex direttore del Tg1 Albino Longhi - secondo l’Espresso - è già andato nel quartiere generale di Prodi a Piazza Santi Apostoli con un dossier fitto di nomi di aspiranti prodiani.


Se lo stesso metodo fosse applicato anche per altre nomine, Prodi potrebbe contare su una rete di sostenitori di peso in diversi gangli del potere. Potrebbe permettersi il lusso di smarcarsi, oltre che dalla Margherita, anche dai Ds. Arrivando a Palazzo Chigi, in caso di vittoria elettorale, con le spalle un po’ più coperte rispetto al ’98.

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