Le "proteste" sanno di censura

Dove non arrivano i tribunali (veri), arrivano i social

Le "proteste" sanno di censura
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Dove non arrivano i tribunali (veri), arrivano i social. Perciò, in parallelo al Festival di Cannes, che si è inaugurato l'altra sera con Johnny Depp che calpestava il red carpet della sua rinascita mediatica, dopo avere stravinto appunto in tribunale contro la ex moglie Amber Heard in una fin troppo celebre causa per violenza domestica, nelle aule virtuali è in corso un processo alle intenzioni, agli ospiti, al passato, ai premi, alle sentenze medesime. Ovviamente, senza appello. Sul banco degli accusati c'è proprio la rassegna cinematografica, «76 anni di celebrazione a chi abusa», come da slogan apparso su Twitter, dove l'hashtag #Cannesyounot è, diciamo, il bunker digitale del caso, animato dalla giornalista Eve Barlow, per coincidenza amica carissima di Amber Heard. Così si è espressa Barlow: «Cannes sembra fiera della propria storia, fatta di supporto a stupratori e abusatori». Chi sarebbe il colpevole? Depp ha ottenuto un risarcimento milionario per diffamazione, quindi il sottinteso è, forse, che i giudici abbiano pronunciato una sentenza sbagliata, e che i paladini social siano pronti a correggerla? L'intento della protesta è proprio quello di impedire la «riabilitazione» di Depp, che peraltro è già avvenuta in pieno. Tanto che ieri in Croisette lui ha potuto minimizzare: «Ritorno, ritorno, sono cliché. Ma quale ritorno, non ero andato da nessuna parte... Anzi sono qui a Cannes». Dove il direttore Thierry Frémaux, oltre ad aver dovuto difendere la presenza di Depp, ha dovuto giustificare l'assenza di due registi come Roman Polanski e Woody Allen, non invitati proprio per evitare le prevedibili polemiche. Ma, per i censori, la censura non è mai abbastanza: nemmeno quella preventiva è sufficiente, ne servirebbe anche una retroattiva, che cancellasse le presenze passate di ospiti quali Polanski, Allen, Gerard Depardieu, Luc Besson, Harvey Weinstein... A causa dei quali «se sostieni Cannes sostieni i predatori», secondo Barlow. Per alcuni, la vicenda di Depp non è che il tentativo del sistema di tornare indietro, all'epoca precedente al #MeToo, con la scusa della sua innocenza. È per questo che viene negata, in nome dell'ideologia.

Tanto si sa come funziona la realtà sui social: si può tranquillamente modificare in nome della propria causa, tanto pochi si preoccuperanno di verificare come stiano davvero le cose; e, quei pochi, si possono silenziare accusandoli di razzismo, sessismo, omofobia, complottismo etc etc (anche al contrario, a seconda delle esigenze)... E presto quelle falsità, spacciate per verità, diventeranno tali. Si chiama propaganda, e ha funzionato per secoli, perché è il motore e l'anima delle dittature.

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