Il protezionista Levi vs gli editori liberali Leggere non è più così scontato...

La querelle sulla legge Levi (che pone un tetto allo sconto sui libri) è una cartina tornasole dell’asfittico capitalismo italiano come sempre troppo «inciuciato» con la politica. Almeno questo è quello che si potrebbe dedurre dalla presa di posizione di Amazon Italia. «Pensiamo - spiega al Giornale Martin Angioni, country manager di Amazon - che questa legge renda difficile una reale concorrenza. In Italia non facciamo pubblicità, ma reinvestiamo nel rapporto con il consumatore: abbiamo promesso ogni giorno prezzi bassi. Vorremmo mantenere la parola. Oltretutto questa legge cristallizza lo status quo: lo zoccolo duro di 5,5 milioni di lettori italiani forti è sicuramente di qualità, ma è piccolo rispetto ad altre nazioni. Bisognerebbe cercare di allargarlo, anche attraverso la libertà degli sconti». Proviamo a tradurre: la «legge Levi», che riprende la francese «legge Lang» del 1981, è stata già presentata sotto il governo Prodi nel 2006. Passano gli anni. Amazon sbarca in Italia il 23 novembre scorso. Ed ecco che in poche settimane la legge riprende quota fino all’approvazione. C’entra che i principali gruppi editoriali italiani sono integrati verticalmente, cioè producono libri e allo stesso tempo li vendono? C’è un «cartello» dietro la Levi? Viviamo davvero in un libero capitalismo, si chiederebbe l’economista Pascal Salin (autore di Ritornare al capitalismo per evitare le crisi, Rubbettino)?
Sempre ieri l’Istituto Bruno Leoni (think tank di «idee per il libero mercato») preparava per la consegna a Giorgio Napolitano un migliaio di firme raccolte insieme all’editore Liberilibri di Macerata (e attraverso Chicago-blog) affinché il capo dello Stato non promulghi la legge. Nello stesso momento l’onorevole Ricardo Levi (Pd), titolare della norma, replicava alle critiche mandando al Bruno Leoni una riflessione, pubblicata sul sito dell’Istituto, dove leggiamo che nella sua legge «c’è una disciplina che punta ad assicurare che gli operatori finanziariamente più forti non possano impropriamente utilizzare l’arma dello sconto per espellere dal mercato gli operatori più deboli». A queste parole ha replicato per lettera, sempre sul sito, il presidente del Bruno Leoni, Alberto Mingardi: «L’esito della norma sarà quello di livellare le scelte di mercato, nella convinzione che vi sia una sola strategia che premia la diffusione della cultura (sconti meno alti, indifferenziati, promozioni limitate, deroghe uniformi, etc.)». E ancora: «Ciò inibisce la libertà di ogni editore/libreria di fiutare il proprio mercato di riferimento e inventarsi strategie diverse a seconda del profilo dei suoi lettori/clienti.

Perché sempre di più (gli italiani, ndr) possano essere contagiati dalla “malattia” della lettura, crediamo la sottrazione di un pezzo di libertà economica, nella determinazione di quella cosa eternamente variabile che è il prezzo, non sia il giusto strumento». Mai, di recente, si è discusso con tanto entusiasmo sui libri ancora prima di acquistarli. Un buon segno.

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