La provocazione Finiremo come la Cecoslovacchia

V’è nel libro di Falasca e Lottieri una coerenza lodevole in una nazione nella quale il tifo di parte perverte o anestetizza tutto. Alla passione liberista i due nostri autori si mantengono invece coerenti, sia quando si riferiscono al Sud, e sia quando dissertano di federalismo. Pertanto avversano ogni idea di perequazione statale che controbilanci la perdita di reddito che il federalismo implica nel Meridione. Non solo: il libro ha per modello l’Irlanda e vorrebbe per il mezzo della riduzione delle tasse far evolvere quella che è la parte più disgraziata d’Italia in Tigre Mediterranea. Detto in altri termini, la vera perequazione da attuare sarebbe quella dei costi del lavoro o della terra, più bassi al Sud. Sfruttandoli e proporzionando ad essi minori tasse, nelle intenzioni dei nostri, ci sarebbero a lavorare in Calabria o Sicilia meno uscieri e forestali e più albergatori o tecnici. Questa l’idea, utilissima per valutare i due più importanti e peraltro collegati scenari del nostro prossimo futuro.
Riferiamola anzitutto al compromesso federalista raggiunto, e in via di faticosa approvazione, ovvero al principio del costo standard al quale si dovrebbe adeguare ovunque la spesa. È immediato verificare come tra i due approcci vi sia conflitto. Infatti i nostri autori scrivono a riguardo, con ogni ragione: «la debolezza strutturale del sistema dei costi standard risiede nella insensata pretesa di determinare a priori e centralmente il costo di una determinata prestazione». Ed è proprio questo il punto: la mediazione raggiunta vincola la libertà di scelta e asseconda un centralismo che è l’origine del guaio e non la sua soluzione. Il mio personale giudizio è anzi più severo. La Lega è venuta meno alla lezione di Miglio: è regredita a una forma di regionalismo da sinistra anni ’70. Il Pci che cosa voleva allora? Dei pezzi di Stato da gestire, in Emilia a esempio, per scalare uno Stato lasciato inalterato, e tutto meno che federale. Così la Lega che cosa si propone? Rinforzare il potere della Lombardia per darle maggiori risorse e forza di contrattazione, però in un disegno non confederale. Ma ecco come Miglio stigmatizzava questa soluzione, appunto di una federazione tra regioni forti e più capaci al Nord e deboli e meno capaci al Sud: «Il risultato finale sarebbe quello di una Repubblica squilibrata e dilacerata, e di una restaurazione a furore di popolo del governo centralizzato che è proprio il risultato a cui mirano i fautori dello stato regionale».
Neppure la soluzione liberista proposta da Falasca e Lottieri mi pare però attuabile. Il disastro del Meridione rimane inalterato almeno dal Basso Medioevo. Mafia o politica, difetti dell’istruzione e pochezza civica configurano un’antropologia che spiega più delle tasse e dello statalismo. Mai, io temo, i politici del Sud, siano di destra o di sinistra, accetteranno la distruzione delle pigrizie e dei vizi del Sud. Arriveranno le rivolte di piazza e i Di Pietro appena si facesse sul serio. La triste verità è che il resto d’Italia sarà più che assecondata nel suo decadere dal Meridione.


Ma, se è così, il rischio è che solo la rottura dell’Unità nazionale possa salvare il resto d’Italia e il Meridione da se stessi. Il che richiederebbe una Confederazione radicale o la stessa soluzione che separò, anni fa, Cechia e Slovacchia.

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