«Il pubblico può fare magie, più giusto vietare le trasferte»

Abituati a sentirlo parlare di golaços ai suoi ammmici telespettatori, immaginare José Altafini commentare una partita in un San Siro vuoto fa uno strano effetto.
Altafini, in oltre vent’anni di carriera ha mai giocato a porte chiuse?
«Per fortuna non è mai successo. Il tifo è straordinario, può fare magie. L’incitamento dà colore agli spalti, allegria. Ti carica, ti emoziona e ti aiuta nei momenti difficili, come fanno in Brasile i tifosi del Corinthians (la squadra popolare di San Paolo, ndr) o come in Italia fanno i tifosi del Napoli, i più caldi che ho avuto».
E i fischi?
«Sono l’altra faccia della medaglia. Ti possono buttare a terra e se sei sensibile non ti rialzi. In Sudamerica, poi, è davvero impressionante: conosco giocatori che contro alcune tifoserie preferivano non scendere in campo. Il tifo è un’arma psicologica potentissima».
Anche con gli arbitri?
«Certo. Io ricordo la finale di Coppa Intercontinentale contro il Santos (partita di ritorno a Rio de Janeiro, Santos-Milan 4-2, ndr): il clima era incredibile e l’arbitro non capì più niente. Giocare a porte chiuse forse farà bene a loro, che non avvertiranno più la pressione e non si sentiranno sotto giudizio ad ogni fischio».
Ma vuole mettere il San Siro dove giocava lei, con 100mila persone senza neppure il 3° anello?
«Era da togliere il fiato, è vero. Eppure non ho mai avuto paura, nemmeno quando esordii da giovane spavaldo. Dipende dalla partita, però: in certe sfide di Coppa dava i brividi».
Ma il calcio senza pubblico è ancora calcio?
«A questo punto la soluzione giusta è vietare le trasferte.

Però ricordo quando in Brasile nelle giovanili giocavamo le esibizioni prima delle partite: se il pubblico non era ancora arrivato era una tristezza... Lo dico sempre: il calcio senza gol è come l’amore senza baci. Però anche senza i tifosi...».

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