Mosca«Da cosa comincia la patria? Da una cartina nel tuo libro di scuola, da buoni e veri amici che abitano nella porta accanto
». Recita così la prima strofa della canzone patriottica di sovietica memoria che il premier russo Vladimir Putin ha scelto di cantare nel suo incontro con i dieci 007 russi scoperti e rimpatriati dagli Usa nel più grande scambio di spie avvenuto tra i due Paesi dalla fine della Guerra Fredda.
E di "buoni amici", secondo il premier ex agente del defunto Kgb, la ormai famigerata "rossa" Anna Chapman e colleghi scarseggiavano. È stata questa la loro rovina. Parlando alla stampa dall'Ucraina, dove è in visita ufficiale, Putin rivela alcuni particolari del suo faccia a faccia con i dieci che hanno ridicolizzato l'intelligence russa davanti al mondo intero, lasciandosi smascherare come bambini da agenti infiltrati dell'Fbi. Ci si aspetterebbe una punizione, per lo meno un rimprovero, e invece Putin difende a spada tratta i suoi 007.
Fedele fino in fondo allo stile Guerra Fredda che lo ha forgiato prima di scendere in politica, il premier dà tutta la colpa della vicenda a dei traditori, di cui sostiene anche di conoscere i nomi. Ai giornalisti che chiedono se Mosca abbia già in mente una "vendetta", il capo del governo spiega che «si tratta di una questione delicata, non può essere certo risolta durante una conferenza stampa». Poi però la diplomazia lascia il posto a minacce neanche troppo velate: «Queste persone vivono secondo le proprie leggi e tutti i servizi di informazione conoscono tali leggi. I traditori comunque finiscono sempre malamente: alcolizzati, preda di droghe e sulla strada».
Smentendo di nuovo le accuse di incompetenza che da quando è scoppiato lo scandalo tormentano l'Fsb (erede del Kgb sovietico) Putin tiene a specificare che la vita di un agente segreto non è certo una passeggiata: «Il primo problema è padroneggiare una lunga straniera come la propria. Pensare e parlarla e fare quello che ti è stato detto di fare nell'interesse della tua patria per molti anni senza poter contare sull'immunità diplomatica».
In piena Guerra Fredda, quando scoperte, le spie venivano uccise o arrestate e successivamente scambiate con altri agenti, a seconda della convenienza politica o pratica del momento. E da allora poco sembra cambiato. La sera dell'8 luglio scorso le spie al soldo di Mosca si sono dichiarate colpevoli e contestualmente il Dipartimento di Stato ha annunciato la loro rendition. Subito dopo, il presidente russo Medvedev ha firmato un decreto che perdonava quattro agenti detenuti per attività di spionaggio a favore dell'Ovest. Lo scambio, come nel più classico dei copioni, si è consumato a Vienna. Il 9 luglio scorso i dieci spioni hanno fatto ritorno a casa.
E come all'epoca della cortina di ferro, gli 007 smascherati hanno avuto un'accoglienza da eroi della patria. Il premier russo ha promesso loro un «lavoro dignitoso e una vita interessante e straordinaria». Ma tra la gente comune la reazione oscilla tra indignazione e indifferenza. Nel ristorante della catena MuMu proprio accanto alla Lubjanka, il famigerato quartier generale della polizia segreta a Mosca, la gente si chiede «che diritto hanno questi improvvisati 007» di godersi il «fulgido futuro»che Putin prospetta loro. Dopo aver letto delle avventure amorose, dei capricci e dei divertimenti della bella "Anna la rossa" tra Londra e New York, nessuno crede alla versione putiniana della dura vita da 007 all'estero. «Questa gente vuole solo arricchirsi velocemente e fare una vita in stile occidentale. Altro che dedizione alla patria!», tuona Misha, ex funzionario dell'intelligence russa ora in pensione.
Dal canto loro, i media russi hanno preferito ignorare lo scandalo fin dall'inizio e anche in questo caso solo le agenzie e qualche sito internet hanno dato spazio all'incontro-karaoke tra il premier e le vittime dei traditori della patria. Giornali e tv di Stato hanno interesse a far passare sotto banco l'accaduto, mentre tutti gli altri sembrano più preoccupati dell'afa record che da giorni attanaglia Mosca e dintorni.
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