Putin: «Uccidete i killer dei quattro russi in Irak»

Marcello Foa

«Trovate gli assassini e annientali», firmato Vladimir Putin. Il presidente russo ha atteso tre giorni prima di reagire alla notizia dell’uccisione dei quattro diplomatici russi a Bagdad. Una fine sconvolgente, la loro: due sono stati eliminati con colpi di pistola alla nuca, uno sgozzato, il quarto decapitato. Il tutto testimoniato dall’ennesimo video dell’orrore. La firma è quella, consueta in queste circostanze, del Consiglio dei Mujaheddin della Shura, ovvero il braccio iracheno di Al Qaida, che ha inteso così «vendicare i fratelli ceceni torturati, uccisi e costretti a fuggire dalle loro case dall’infedele governo russo». E in stile anticeceno è stata la reazione del capo del Cremlino. Ma questa volta l’Fsb (l’ex Kgb) non è chiamato a intervenire a Grozny, bensì in un teatro da cui la Russia finora si era tenuta sapientemente alla larga: l’Irak. L’ukaze di Putin è perentorio: i servizi di sicurezza «possono usare qualunque mezzo per individuare ed eliminare i killer». «Non importa quanto tempo sarà necessario - ha dichiarato - ma solo che l’obiettivo venga raggiunto». Carta bianca, dunque. Già, ma come? E con l’appoggio di chi?
Putin non si è spinto oltre, ma ha dichiarato che sarà molto grato «a tutti gli amici che sapranno fornire indicazioni utili». E nell’Irak dilaniato dalla violenza gli unici «amici» in grado di aiutarlo sono gli americani e le forze della Coalizione possono aiutare Mosca. È un gesto chiaramente distensivo nei confronti dell’Amministrazione Bush a un paio di settimane dal vertice del G8 di San Pietroburgo. Più schietto è stato, qualche ora più tardi, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che ha dichiarato di aver già contattato il governo di Bagdad e le autorità statunitensi, mentre più bellicoso è stato il presidente della Duma, il quale ha ricordato che qualche mese fa il ministro della Difesa Serghei Ivanov aveva ventilato la possibilità di interventi militari preventivi contro basi terroristiche all’estero, qualora la sicurezza del Paese fosse stata minacciata. Ma pochi hanno prestato attenzione alle sue parole, pronunciate durante una visita a Strasburgo.
Non sarà mostrando i muscoli che Mosca riuscirà a catturare gli assassini dei quattro diplomatici, bensì con l’intelligence, anche se non è chiaro di quanta ne disponga in questo momento sul territorio iracheno.
Intanto a Bagdad ieri il premier Nouri al Maliki si è mostrato cautamente ottimista sulle prospettive di pacificazione del Paese. In un’intervista alla tv di Stato ha dichiarato che «diversi gruppi di ribelli sono interessati a discutere il piano di riconciliazione nazionale presentati domenica scorsa al Parlamento». Sei gruppi avrebbero contattato direttamente il governo, un settimo tramite un mediatore. Maliki ha ribadito che l’amnistia prevista dal piano di pace «non riguarderà coloro che hanno attaccato e ucciso gli iracheni o i soldati della forza multinazionale». E forse per questa ragione due delle principali milizie sunnite baathiste, l'Esercito dei Mujaheddin e le Brigate Salahuddin al-Ayyubi, hanno annunciato di non voler aderire al progetto.
Quella di ieri è stata una nuova giornata di violenze. Miliziani sciiti hanno attaccato a colpi di mortaio una moschea sunnita e dato alle fiamme una ventina di negozi a Moqdadiya (Sharaban), nella turbolenta provincia di Diyal a nord-est di Bagdad. È la zona dove è stato ucciso Zarqawi e dove ieri un militante di Al Qaida, il tunisino Abu Kudama al Tunisi, avrebbe confessato di aver preso parte all’attacco alla Cupola d’Oro di Samarra, che il 22 febbraio innescò in tutto il Paese un’ondata di scontri tra sciiti e sunniti. La notizia dell’arresto di Kudama è stata data ieri. L’uomo, il cui vero nome è Yusri Fakhir al Terwiki, era rimasto ferito in uno scontro con la polizia tre giorni fa.

Avrebbe detto che quell’operazione fu condotta assieme a quattro sauditi e a due iracheni. E avrebbe rivelato che quel 22 febbraio sarebbe stato il nuovo capo locale di Al Qaida, Haitham al Badri, a uccidere la giornalista di Al Arabya, Atwar Bahjat, uno dei volti più noti della tv irachena.

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