In un suo bel libro di ricordi («Post scriptum. Memorie o quasi», appena pubblicato dalla veneziana Cafoscarina) Julia Dobrovolskaja, una scrittrice russa che vive da molti anni in Italia, dedica molte pagine alla storia dei suoi rapporti con Renato Guttuso, che lei conobbe negli anni 50 a Mosca, dove lei, quando lui vi si recava a omaggiare i suoi compagni russi, ebbe lonore di fargli da guida e da interprete.
«A Renato ricorda la Dobrovolskaja, che oggi è una spiritosa ragazza di circa novantanni piaceva venire a Mosca. Riteneva un dovere e una gioia far parte del Comitato premi Lenin per la pace o firmare un accordo sullamicizia tra Urss e Italia. Si rendeva conto della cafoneria della nomenklatura sovietica, ma chiudeva un occhio sui loro misfatti. Tranne che su uno: non poteva sopportare che toccassero larte».
Tutto vero fuorché lultima affermazione. Fu sempre con evidente letizia che Guttuso sopportò che i gerarchetti russi «toccassero larte». E se non lo sopportava, riusciva a nasconderlo molto bene trasformando la sua privata ripulsa in pubbliche espressioni di palese gradimento. Non si contano infatti le giulive esternazioni orali e scritte con cui, dalla fine degli anni 40 in poi, non cessò mai di sfoggiare, sia verso i capetti del Bottegone sia verso i caporioni del Cremlino, il suo strepitoso talento adulatorio. Del quale si potrebbero citare innumerevoli espressioni, ma che forse non rifulse mai come nellelogio di Zdanov che egli pronunciò a Wroclaw nel 1948, poche ore dopo la morte del celebre inventore del «realismo socialista», la grande frottola estetologica dellèra staliniana.
La cosa andò così. Tra il 25 e il 28 agosto di quellanno, in quella graziosa città polacca, si svolse una delle tante lugubri adunanze che a quellepoca venivano promosse dal famoso Movimento dei partigiani della pace (lultima grande truffa ideologica di Stalin). La manifestazione denominata «Congresso degli intellettuali per la pace» fu però interrotta, appunto, dalla notizia dellimprovviso decesso di quel sommo teorico dellarte in salsa bolscevica e il còmpito di pronunciarne lelogio funebre toccò proprio a Guttuso, che era stato chiamato a presiedere quellassise insieme allo scrittore russo Aleksandr Fadeev. Il contenuto e lo stile di quellepicedio furono poi travasati in un articolo con cui, solo due mesi dopo, esattamente il 28 ottobre, egli volle rievocare sullUnità quella sua prestazione oratoria.
«Credo che né Sacha Fadeev né io scrisse dimenticheremo il coro di civette che si levò dalle rovine di Wroclaw la notte che si fermò il cuore di Andrea Zdanov. Zdanov era morto, egli era, tutti lo sanno, uno degli uomini migliori del mondo, uno dei bolscevichi di cristallo, puro e duro come un cristallo.
Questo breve passo basta a dimostrare che, se non è vietato dubitare che Guttuso fu un grande pittore, è doveroso ammettere che fu un grandioso ruffiano.
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