Quando l’autore scrive come mangia

Ulisse di James Joyce è così pesante anche perché il protagonista Leopold Bloom all’ora di colazione fantastica sui rognoni e sulle «collane di salsicce». E Idillio di Guy de Maupassant, è così nutriente perché il protagonista maschile, un operaio, si abbevera al seno della protagonista femminile, una balia contadina. Nel romanzo dell’irlandese, la gravità, con l’inevitabile corollario della difficile digestione (per il lettore) del percorso introspettivo, è il segno distintivo della narrazione. E nel racconto del francese l’intenso e tuttavia casto erotismo della scena, provocato dalla montata del latte della ragazza sta a significare la naturale generosità del popolo che, in mancanza d’altro, alimenta se stesso.
La letteratura è anche questo: una fame atavica di parole e di cibi. Dai simposi dell’antica Grecia durante i quali il pensiero dei filosofi nuota nel vino e si fortifica con la prolungata manducazione di carni saporite, fino alla grande stagione del romanzo ottocentesco che cucina i personaggi al fuoco lento dei decenni o li arrostisce sulla graticola di una scena madre. E gli autori, sapienti cuochi, naturalmente scrivono come mangiano, servendo le loro pietanze preferite. C’è il pantagruelico, grasso, ipercalorico François Rabelais che punta sulla quantità e c’è il salutista in punta di cucchiaio Thomas Mann, al quale basta una zuppa leggera consumata al sanatorio di Davos per infondere ai malati le energie sufficienti a tenere a bada le febbriciattole. C’è la dieta forzatamente dissociata di Fëdor Dostoevskij che passa dal digiuno all’abbuffata e c’è lo sbocconcellare apparentemente annoiato e distratto di Oscar Wilde.
Voraci consumatori di pagine e piatti, Laura Grandi e Stefano Tettamanti, dopo Il Calendario goloso, Nuovo calendario goloso e Atlante goloso (usciti da Garzanti fra il ’99 e il 2001) ci invitano a tavola con Sillabario goloso (Mondadori, pagg. 306, euro 18): una specie di Guida Michelin con i grandi autori al posto dei grandi ristoranti e che, senza distribuire stelle di merito, sempre opinabili, stuzzica l’appetito cerebrale per la lettura senza dimenticare quello materiale per il cibo, sciorinando alcune ricette. Ne esce un menu ricchissimo. Ecco alcune prelibatezze.
Ottima forchetta, Dumas padre mostra anche insospettata finezza individuando in un momento preciso l’innamoramento del Werther di Goethe per Charlotte: è quando la vede preparare delle semplici tartine al latte. Molto meno poetico ma più energetico è Ian Fleming: a James Bond propone delle belle uova strapazzate. Piuttosto rustico, per quanto molto meno pesante di Joyce, anzi, facilmente digeribile, è Charles Dickens quando apparecchia un banchetto di nozze nel Circolo Pickwick: l’abbondanza delle portate è alleggerita dalla lieta convivialità.
Caustico come sempre, Giuseppe Prezzolini si cala nella parte del cameriere complice del cliente-lettore nel saggio Maccheroni&C., un inno filologicamente rigoroso alla pasta, nostra gloria nazionale. La stessa pasta che, al contrario, il corrosivo trasvalutatore Filippo Tommaso Marinetti aborriva nel Manifesto della cucina futurista del 1930. Intimare agli italiani di rinunciare a spaghetti e bucatini era allora, e continua a esserlo oggi, inutile, oltre che comico. E altrettanto comica è la scena che vide protagonisti Giorgio Manganelli e Giulio Einaudi. Quest’ultimo aveva il vizio di allungare la forchetta nei piatti altrui. Quando lo fece con Manganelli, provocò una piccola... hilarotragoedia, con lo scrittore che abbandona, offeso, il tavolo e se ne va (a piedi!) da Dogliani a Torino, non prima di aver deciso seduta stante di cambiare editore.
Apprendiamo poi che lo sciccósissimo Evelyn Waugh aveva una passione per le uova di piviere, mentre Immanuel Kant, filosofo che metteva la ragione prima di tutto, non si curava molto delle buone maniere: masticava a lungo il merluzzo e poi, dopo averci pensato un po’ su, sputava il bolo, probabilmente considerandolo il fenomeno (maleducato) del noumeno (nutriente). C’è poi da scommettere che Giuseppe Tomasi di Lampedusa da buon siciliano condividesse con il protagonista del suo racconto Lighea, Rosario La Ciura, la passione per i ricci di mare e un altro siciliano, Elio Vittorini, nutriva per le aringhe la stessa devozione riservata da Marcel Proust alle madeleines. Tuttavia «il segno alimentare della francità» secondo Roland Barthes sono le patatine fritte...

Donatien-Alphonse-François de Sade anche in galera non si faceva mancare il tartufo, William Thackeray scrisse una Ballata della Bouillabaisse e Anton Cechov, nel racconto Le ostriche, assapora i sogni di un bimbo che le vede per la prima volta.
Perché scrivere, in fondo, è come mangiare con la bocca altrui.

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